Poeti vari 3

*

Davide Rondoni


Addosso vienimi, non lasciare
spazio, che l'aria il cielo o cosa
sento fare pasto di me se

non ti stringi, non spezzi con linee
strane il disegno delle braccia, il bavero
il torso

se non disponi con il tuo il mio corpo
ai nuovi assalti del giorno

ferma le piastre del respiro
ho qualcosa di troppo antico nel petto,
radunami da tutte le città del mio volto

sono solo ombra che brucia
se la tua non mi viene
subito addosso.

***


LA MORTE CAMMINA A TACCHI ALTI


Di Tiziana Monari


Sgomente

s'ammassano mille bocche

in attesa del pianto

inermi

contano il sangue di angeli caduti


vaga smarrita

senza approdo

una fiumana

di membra sfollate e pietra.


E' sceso il buio

la morte ha camminato con i tacchi alti

impotente

sbircio la pioggia dietro i vetri.


Vorrei solo

portare a Dio

un altro conto da saldare.

[Fonte:
Stravagario Emozionale - numero 4 aprile 2009]

***


DAVID MARIA TUROLDO

(1916 - 1992)


Mostrati, Signore

a tutti i cercatori del tuo volto,

mostrati, Signore,

a tutti i pellegrini dell'assoluto,

vieni incontro, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore;

affiancati e cammina con tutti i disperati

sulle strade di Emmaus;

e non offenderti se essi non sanno

che sei tu ad andare con loro,

tu che li rendi inquieti

e incendi i loro cuori;

non sanno che ti portano dentro:

con loro fermati perché si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.


*

Tutto deve ancora avvenire nella pienezza:

storia è profezia sempre imperfetta.

Guerra è appena il male in superficie

Il grande Male è prima,

Il grande Male è amore-del-nulla.

Per favore, non rubatemi

la mia serenità.


*

E la gioia che nessun tempio ti contiene,

o nessuna chiesa t'incatena:

Cristo sparpagliato per tutta la terra,

Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti

come nel più vero tabernacolo:

Cristo dei pubblicani,

delle osterie, dei postriboli,

il tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.


*


Ti sento, Verbo, risuonare dalle punte dei rami

dagli aghi dei pini dall'assordante

silenzio della grande pineta

-cattedrale che più ami- appena

velata di nebbia come

da diffusa nube d'incenso il tempio.

Subito muore il rumore dei passi

come sordi rintocchi:

segni di vita o di morte?

Non è tutto un vivere e insieme

un morire? Ciò che più conta

non è questo, non è questo:

conta solo che siamo eterni,

che dureremo, che sopravviveremo...

Non so come, non so dove, ma tutto

perdurerà: di vita in vita

e ancora da morte a vita

come onde sulle balze

di un fiume senza fine.

Morte necessaria come la vita,

morte come interstizio

tra le vocali e le consonanti del Verbo,

morte, impulso a sempre nuove forme.

*

Non so quando spunterà l'alba

non so quando potrò

camminare per le vie del tuo paradiso

non so quando i sensi finiranno di gemere

e il cuore sopporterà la luce.

E la mente (oh la mente!) già ubriaca,

sarà finalmente calma e lucida:

e potrò vederti in volto senza arrossire.


*


"Anche Tu / finivi con la certezza di essere /

un abbandonato./ Anche Tu / non sapevi!

E hai gridato il perché/ di tutti i maledetti,

appesi / ai patiboli. E non era / desiderio di

sapere la ragione / del morire: non questo, /

non la morte è l'enigma.../ Mistero è che

nessuno comprende / come Tu possa, Dio,

coesistere / insieme al Male..."


(O sensi miei..., p. 606)


*

Liberata l'anima ritorna

agli angoli delle strade

oggi percorse, a ritrovare i brani.

Lì un gomitolo d'uomo

posato sulle grucce,

e là una donna offriva al suo nato

il petto senza latte.

Nella soffitta d'albergo

una creatura indecifrabile:

dal buio occhi uguali

al cerchio fosforescente di una sveglia

a segnare ore immobili.

E io a domandare alle pietre agli astri

al silenzio: chi ha veduto Cristo?


*

Perfino gli ulivi piangevano quella notte,

e le pietre erano più pallide e immobili,

l'aria tremava tra ramo e ramo

quella Notte.

E dicevi: "Padre, se è possibile...".

Così da questa ringhiera

quale un reticolato da campo

di concentramento, iniziava

la tua Notte.

Si è levata la più densa Notte

sul mondo tra questa

e l'altra preghiera estrema:

"Perché, perché... ma perché, mio Dio..."

Notte senza lume: disperata

tua e nostra Notte. "Perché...?"


*

Padre,

non sappiamo più ascoltare;

Padre,

nessuno più ascolta nessuno:

nessuno sa fare più silenzio!

Abbiamo perso

il senso della contemplazione,

perciò siamo così soli e vuoti,

così rumorosi e insensati;

e inevitabilmente idolatri!

Anche quando l'angoscia ci assale

donaci, o Padre, di non dubitare;

o anche di dubitare,

ma insieme di sempre più credere:

di credere alla tua fedeltà,

al tuo amore

al di là di tutte le apparenze;

e con il tuo Spirito

sempre presente

nella nostra storia.


(da "La notte del Signore")


***

Joë BOUSQUET


FUMAROLA

L'AMORE
nello specchio che affascina gli astri
POVERA
fumarola
SI
preferisce credere di aver sognato il tuo destino
e che nessuno conosca sogno
più esattamente significativo
di una laboriosa digestione
COSÌ
in piedi sulla terra che ti si rotola attorno
e ti stringe con i suoi anelli
ma
i tuoi occhi con i loro tesori
di ricordi e di visioni
subiscono l'attrazione di un astro
invisibile e quell'astro ha una stella
gemella che ti cattura con le canzoni
ch'ella ti fa sentire
e il tuo volto è appeso
alla quadriga stellare
affinché la terra vi entri
con gli orizzonti che ti hanno fatta
e che tu respiri
quando ami
E
tutto ciò che è in questo mondo
ti violenta con i suoi profumi
brucia dentro di te come una lampada
e prende dal tuo cuore delle
ispirazioni amorose
di cui ti ricopre
davvero bisogna che in piedi
seduta o distesa e perfino
con le gambe all'aria
e il sedere al vento tu
tenda dentro di te la ragnatela
ma
questo lavoro da schiavi
fa pietà
NON
si uscirà dunque mai
COME
si comprende il perverso
che vuole essere amato fino alla follia
e imporre all'innocenza
un amore che sia l'oblio
del proprio sesso
ah quello prende il fiore delle sfere
pianta una radice nella vita animale
e subito sente nella sua paura
la vastità e la pesantezza alata
di quella verità che l'occhio
di un uomo non può scorgere
MI
hanno spezzato le ossa affinché diventi
il pensiero la trasparenza di questa verità
e che l'insegni agli uomini
perché essa non può mangiarmi le viscere
L'AMORE
è eterno
come
gli altri amano
delle capre o delle pecore
io
amerò una
BAMBOLA

***

L'OMBRA DI UN'OMBRA
I
La luce fa spazio alla pura verità dei rumori
che si rintanano. Crepuscolo ansioso in cui, nella camera
di un malato, un ciuffo di giglio si ricorda che è
stato giorno.
Tutta la calma della sera, tregua di un cielo che
si dipinge le sue rive.
Ma colui che sa ha degli occhi per vedere il
bianco, il lungo dileguamento in cui le trasparenze
dell'aria sono le sole a sopravvivere, colui che sa che la
bellezza di una donna sogna senza fine quella
felicità che egli ha perduto…
Ascolta, è dolce, l'estate viene di notte
quest'anno. Ascolta, la canzone si ricorda di un
amore senza troppo sapere se si tratta del tuo…
Nell'ora strana che si capovolge, il silenzio viene
da per tutto. L'ombra del'anima, dove brillano
debolmente le forme degli esseri che io amo, mi
appare in tutta la sua grandezza rocciosa, e sento
che la mia realtà d'uomo è per un istante come
schiacciata davanti all'altezza di quello che chiamo il
mio sogno. Altezza materiale e sensibile, che ravviva
attorno a sé un orizzonte interiore in cui la purezza
delle forme è così grande da riuscire a dividere le
tenebre sulla propria chiarezza. Comprimo con due
mani il mio cuore che batte, perché, in questo
scorcio aperto su delle tenebre che fanno regnare
soltanto il mio essere su di me, scopro che il
sentimento della mia umanità si perde, e che
davanti a me, tremante, interdetto, sotto il cielo
morto di una fatalità implacabile, la mia vita ascolta
la mia vita.
Nessuno sa se io dormo. I miei occhi hanno
sognato che non c'erano più lacrime. Nella debole
luce che cade dalle stelle, mi sembra che la mia
anima interroghi il cielo attraverso il pallore del mio
volto che rabbrividisce; e indovino che ogni cosa
vivente si oblia nell'apparizione di una bellezza che,
in me stesso, è silenzio. Solo, come se nessuno
sapesse chi sono, ascolto nella vita dell'ora più
irreale il gemito di tutto ciò che vuol finire e pensa
così di sopravvivere. C'è per me nella macchia scura
di un vetro, sotto i tetti così lontani dalla finestra in
cui mi trattengo, un bambino che scrive il suo diario
senza sapere che egli sarà infelice e che mai una
donna si chiederà che cosa abbia portato dentro il
suo amore.
[...]***

da La conoscenza della sera (La Connaissance du Soir, 1947)
traduzione di Annamaria Laserra, in
Poesia Due, Milano, Guanda, 1981.


Passare

Infanzia passata nello spazio
Come un volo inseguito fino a sera
Chiamo piano la tua ombra
Per paura di vederti
Sorella a lutto dalla veste chiara
La tua fuga è l'uccello blu dei giorni
Che con il suo canto rischiara
I gesti sognati dall'amore
Una fanciulla per il tuo incanto
Con il corpo abbozzato nei cieli
Fece sciogliere le città in pianto
Illuminate nei suoi occhi
E avesti il coraggio di rendere
Il mio dubbio più vivo di me
Passarosa dalle ali di cenere
Che mi aprivi il tuo cuore nel vento

*

Il largo

Non è il suo nome a esaltarlo
Ma che piano sia mormorato
Nelle voci che non conosce
Il segreto di un cuore incrinato
Quando ogni lamento gli svela
Di che cosa abbia pianto la pena
L'uomo sente il suo cuore chiamarlo
Nelle voci che l'hanno ignorato
Così vedono tutte le stelle
Avverarsi la notte delle vette
Ventilando nella notte con le ali
La voce di qualcuno che verrà
Lui il suo male è la stessa pietà
Ciò che è lui a sua volta si oscura
E per rendergli quello che ama
Si rivolge alla pena del giorno

*

Madrigale

Dal tempo che era amata stanca di se stessa
Lei aveva giurato d'essere questo amore
E ne fu l'incanto lui ne fu il poema
La terra è leggera a promesse passate
Il vento piangeva gli uccelli migranti
Cullando i mari sulle ali di sale
Prendo la stella con una bella nuvola
Se la pagina bianca ha consumato il cielo
Nell'aria che fiorisce al suo riso
C'è un vecchio cavallo color del cammino
Capisci al suo passo la morte che m'ispira
E che va senza me a chiederne la mano

*

Poema della sera

Su un giaciglio sfinito
Il lampo che oscura un istante
Mette la veste di fumo
E segue il vento distante
Su terre senza memoria
Ogni piede ha la sua scarpa
L'ala è bianca l'ala è nera
Il giorno è solo metà
E su una trama di cenere
Dove l'uomo non è che i suoi passi
Il cuore palpitò per cogliere
Ciò che uno sguardo non vede
E' la speranza che un mondo a venire
Abbia fatto buio con la nostra ombra
E sorridendoci alla finestra
Abbia solo i nostri occhi per vedersi
Dietro le quartine che lei ispira
Ai giorni che dubitano di te
La vita ha i suoi denti per sorridere
Di ciò che una volta era già stata

*

L'ombra gemella

Varca la notte senza sponde
Se tu sei solo vagamente
L'oblio restituirà il tuo volto
Al cuore da cui nulla è assente
Il tuo silenzio nato da un'ombra
Che a tutto il cielo l'ha unito
Schiude l'amore dove ti abbandoni
Alle braccia di un doppio infinito
E annullandoti sotto i tuoi veli
Presi alla notte da un fiore
Concede occhi alla stella
Di cui la tua ombra è il cuore

*

La fortuna dei giorni

Io so un rosaio dove sboccia una rosa
Non c'è più notte per l'ombra che è
Da un'aiola errante di bagliori chiusi
Dove lo sciame vibrava dei giorni passati
Non c'è fuoco nel buio che il cielo non l'abbia
Con il mio amore morto a tante cose
Tessevo il drappo funebre dei voti sfumati
Era quello di un pianto in cui sboccia una rosa
Alba di una vita estranea ai giorni
L'oblio dell'imprevisto morto dal nostro amore
Dischiude nel fiore la mano che lo stringe
E senza me cogliendo la rosa delle notti
Una sorella di cenere lascia le nostre terre
Rende il corpo lunare ai morti che io sono

*

Giorno e notte

Sul corpo di un uccello di bosco
Inchiodati dalle sue ali immense
I giorni crocifissi alle notti
Aggiungono un nome al silenzio
Passando su lui senza vederlo
Fanno occhi più grandi della vita
All'amante che strugge di sapere
Come si muoia d'essere gradita
I giorni che disfecero i fiori
Per seppellirsi sotto il loro peso
Si sono uniti al cielo nei cuori
Dove s'aprono le ali dell'ombra
Denudandosi sotto le acque
Che la sua trasparenza ha velato
Il mattino che nasce a occhi chiusi
Allibisce di una stella fuggita
La croce che spalanca l'orizzonte
Sente in voci che si chiamano
Due nomi sbocciare un canto
Dove l'alba ride di una rondine


***


TIZIANO FRATUS


Il vangelo della carne, 2008
[torinopoesia.org]


da: Parte prima / Poesie in pelle

dittico marino

I.

a picco sul mare ogni giorno il sole sulla terra
mentre rinunciamo ad afferrare le parole che ci piacciono e rassicurano
raccogliamo noi in noi chini sulla sabbia compatta della spiaggia
rami secchi conchiglie spolpate e pezzi di vetro
li cataloghiamo nel nostro personale linguaggio mediocremente scientifico
li sedimentiamo in vasi trasparenti sigillati da tappi di sughero
ci capiamo senza ragionare in queste corte giornate di vento a piedi nudi
ci basta l'istinto l'intesa lo sguardo e il tatto
il resto del mondo resta in bilico ma le uniche notizie le scoviamo tra le braccia
scolpite tra ossa e arterie setacciate nel sangue
emerse di colpo sul fiorire delle labbra
ad un passo dal ruggire delle onde che spazza via ogni tentativo di fissità

II.

i piedi fasciati nelle scarpe che abbiamo comprato insieme
in una mattina di pioggia
sprofondano lateralmente nelle sabbie della spiaggia deserta
mentre il vento riempie le orecchie fessura le palpebre e arriccia le onde del mare
grigi e blu minerali mischiati in un continuo pulsare d'animale
che non tace un attimo
accade e non di rado che la felicità si faccia strada in noi
quando la parola non ha modo di fluire
quando ci si bacia negli occhi e ci si tiene per mano
e si resta appesi al presente privo di lividi

*
da: Parte seconda / Vene maggiori e vene minori

sei un uomo che crede in un unico dio

sei un uomo che crede in un unico dio
figlio di una terra dimenticata e dalle radici in continua ricerca di profondità
sei un uomo del mare rimasto senza pesci e senza fiato per tenere stretto fra le mani
il rumore della risacca che si rincorre in cavalloni che percorrono distanze maggiori
di quelle che separano i pianeti le costellazioni il cuore indurito di due amanti tagliati in parti
sei un uomo spento nel cuore del vulcano
sei un uomo senza futuro e con un passato mozzato e sbiadito
sei un uomo forse che si è dimenticato cosa possa essere un uomo
sei un uomo senza arti senz'anima
le figure umane costrette dentro le cornici nere che adornano le stanze della tua abitazione
dormi con gli occhi chiusi le rughe incarnate
le ciocche di capelli sfuggite ad un'idea vaga di ordine
sei un uomo che piange negli angoli nascosti dei castelli e dei musei che visiti
sei un uomo che ama tradendo sé stesso e tradisce sé stesso amando
senza riuscire mai a tradire e nemmeno ad amare
sei un uomo che sente ridere i ricordi lontani che non ha mai saputo raggiungere
sei un uomo che brulica in un abito di api intente nella piccola misura del loro ronzare
sei un uomo che si consuma come il fumo di una sigaretta svanendo verso il basso
o verso l'alto o verso un punto qualsiasi dell'universo

*
progetto architettonico per un acquedotto

la vita sgocciola e per quanto tu stringa perde sempre
quella goccia che nelle ellissi della luce sembra nulla
nel cubo di silenzio della notte scava a fondo
scuote i cieli e le profondità della terra
solleva i fondali degli oceani e ribolle il sangue
un'idea d'amore che non dà scampo
bracca la notte per annidarsi sotto cute e rifiorire il giorno
ti fotocopia al negativo
ti converte all'antica pratica del pianto per amore
a cui non avevi mai creduto
eppure se la vita tua può essere salvata
dipende anche dallo schianto della debolezza
dalle parole che scrivi la mattina sulla sabbia
a pochi centimetri dall'acqua
dal sapere abbracciare invece di fuggire
invece di uccidere

*
le legioni sguarnite dell'innocenza

I.

in anni lanosi di scorie o detriti che caricano le bocche e gonfiano le pupille
ti abbandoni all'idea che il vuoto pneumatico che pompa le ore del giorno e della notte
possa essere colmato e disatteso dalla compagnia occasionale
che sia possibile che da fuori qualcuno arrivi a stappare
per consentire lo sgorgo del mare nero che respira dentro le pareti dell'esistere
in anni raccolti i segni di una cura inefficace
in anni ti percuoti a insistere nell'errore
in anni ti racconti storie che non convincono nemmeno le statue nelle chiese
quando fra un passo e l'altro ti rifugi sotto lo sguardo pietroso di
una madonna di un san filippo o di un santo stefano
sedendoti in mezzo ai banchi vuoti
sui legni scheggiati dai secoli e dai silenzi di chi si pente
depositi monete che transitano dal buio delle tasche al buio delle scatole
abbassi il viso e componi una preghiera laica
fingi di rivolgerti al signore o al detentore spirituale della chiesa
chiedi scusa goffamente
chiedi perdono e talvolta cerchi di dire qualcosa che sappia di religioso
la cura dell'anima
la fuga dal vuoto della solitudine
passa per il silenzio delle stanze da letto
piuttosto che nel baccano confuso dei lamenti di due esseri senza pace
guarda il nostro respiro dico contando le ossa del tuo costato

[...]

*
alle porte di san pietro

si dice che si soffra per amore
in verità si soffre per mancanza d'amore
per quel senso di distanza che s'innesta nel sentiero dell'impotenza
dopo una quaresima di morti bianche
innescate dall'abbandono alle leggi del vangelo della carne
a braccia a testate a morsi avrei abbattuto le porte di san pietro
e divelto mani e alabarde delle guardie che si sarebbero interposte
fra la mia rabbia e il centro della conoscenza che fa della
filosofia commercio di reliquia
non interessava contestare il potere
lividare il dubbio di un'epoca densa di contusioni
è chiaro che l'uomo è in fuga dalla decadenza
dal giorno stesso del concepimento
il sangue nascosto schizza dalle atroci convulsioni dei corpi
macchia di scuro il vortice dei pensieri che nel silenzio dei secoli
preme al fondo dell'anima
senza che se ne renda conto piuttosto di raggiungere la punta delle lingue
una visione di mimi francesi e acrobati russi si inalbera
nel cuore del paesaggio
sul palcoscenico scarsamente illuminato
con una luce troppo chiara per rendere giustizia delle intenzioni del regista
quelle vesti riutilizzate da un'antica rappresentazione del riccardo terzo
emanano polvere ad ogni rilassamento nervoso
effetti che il pittore fatica a rendere nei giochi di ombre
del quadro a cui sta dando la caccia da anni
pensare da troppo tempo d'essere responsabili del proprio dolore
al di là di quello che altri dicono e compiono e azionano
si gira e dimentica il nome e il cognome con cui è stato battezzato
un coro di vergini vestali della dea atena e un controcanto di castrati romani
inneggiano al sacrificio che bisogna compiere per salvare sé stessi da sé stessi mentre da un pulpito giovanni sartori 

rispiega la politica per la milionesima botta
le donne usano nuovamente dipingersi nèi finti a lato del labbro


*
testa contro testa

proprio non so perché nella tua testa ti dica che per noi il futuro
non può che essere di dolore
non c'è alcun merito nel ritrovarsi nel sangue di un'altra persona
nel sentirsi così chimicamente in fusione
come avviene in noi quando siamo insieme
e ora in questo momento vorrei chiudere gli occhi
e riaprirli lì accanto a te sdraiati nel letto insieme
l'una contro l'altro ad accarezzarci a dirci piccole parole senza significato

*
da: Parte terza / I muri bianchi

sguardo miope di un discendente di galileo galilei

non raggiunge il silenzio qua carcerato
il tremolante gorgheggio del mare
ferito dalle lame del sole
che oggi illumina la distesa delle sabbie
le cinque pareti bianche che circondano
hanno perso presto la memoria della tua voce
le tue parole suicide su qualche foglio di carta
anche le tue foto riposano vuote
so che ti stai facendo divorare dal dubbio
dal torchio oliato del dolore
in una parte della città che non mi è concesso raggiungere
mormoro tra me e me il tuo nome
lo ripeto in chiesa quando riesco a trovare la forza di uscire fra la gente
ma a volte sembra che noi due non sia mai esistito


***


Pierluigi Cappello

GIUSEPPE VETROMILE


UN PUGNO DI TEMPO

Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla liquefatta balconata dopo aver rimesso in tasca
l'ultima ombra della cuccagna agguantata ieri in un effluvio
di sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e la luce
vi piove attorno come per accontentarlo io e lui
non siamo che gravità occasionali impulsi di terra
raccontati al cielo infinito come una fiaba per dormienti
buoni e castigati

non si sa mia cara veniamo da vicine ombre
l'uno all'altra affacciato per sentire le cose con gli stessi sensi
e i riti riprendere per esorcizzare la malasorte
e viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia

nulla ci abbandona se non quest'ombra a sera e ci distacca la luna
dalle nostre orbite subliminali è vero siamo fantasmi mia cara
che cercano speranza nel buio corridoio
tra una stanza e l'altra

in abbondanza di miti scritti sulla nostra pelle di consumatori a sbafo


[segnalata con particolare menzione al XLIV Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n. 3/2006]

*

NON CI TOCCA LA SPERANZA

Siamo brevi incastri di terra e perdono:
mai nessuna nostra molecola è andata oltre
l'accoppiamento chimico dovuto
scritto nel quaderno del creato

un tornare indietro mille volte con la mente
cercando una possibile rinascita
laggiù nell'eden
o venuta dai cieli misteriosi
la nostra scaturigine ancora intonsa
e densa di peccato e immodestia
noi voluminoso amplesso di infiniti organi
incasellati da Dio in un fiat di luce

Non ci tocca la speranza
né l'avidità del prodigo figlio
che ritorna a scardinare ogni avere
per un attimo di felicità infeconda

Non ci tocca il domani inesistente e sgravato ora
pensando ad impossibili certezze
(nulla è il tempo che scandiamo ancora
dentro di noi)
mia cara:
ci dissero di profanare l'ombra e la morte
smagrirci fino a diventare spirito innocente

ma dove si compie il destino del sole
è su questo amen che ci richiude per sempre
nell'abito di terra

in questo qualsiasi giorno che non ci appartiene


[segnalata al XLVI Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n.3/2008]


***


DORIAN VERUDA


Da Sarò l'ultimo papa

Genesi Editrice, 1987
Collana di Poesia I Gherigli - n° 25

PROMETEO – L'ELETTO

A Sergio Quinzio


1.

Condannato a fissare

Spire – su spire – di luce…

- laggiù

carriarmati si cozzano – esplodono – il napalm

erige ululanti piramidi-torce

La cupola

è diventata falò gigantesco

… e la folla

… la folla ubriaca…

crepita

nel martirio

supremo…

La croce…

la croce…

danzerà…

nel violaceo

crepuscolo…

Sarò

L'ultimo Papa
- l' Eletto…

Me ucciso…

l'orgiastico – tripudio – di abominio…

culminerà…

L'epocale fastigio.

Poi calerà la – celestiale – armata.

2.

Nelle membra – inrocciate – una gioia

- orrenda – formicola.

E mentre

per l'etere fisso sciamare quei punti

barbuglianti – con essi compulso

mi dissemino in quegli – assorti – nodi.

Divengo un'orbita anch'io.

(Nel tuo sudario

accoglimi

- o Notte –

oppiaceo…)

Ahi – nella grande

metamorfosi

- esplode –

di fuoco

- la memoria precosmica.

(Nel tuo

- calamitato –

maestoso

orgasmo…

mi allucino…

dilato…)

3.

Pupazzo

mi guardo

- lustrale…

- alla forca

- mi tasto –

penzo

lante

- del colonnato di San Pietro.

Ma tu…

redivivo Plutone

- Lucifero…

Ahriman…

non avrai

il mio sangue

- per sempre –

il mio scettro…

Dall'

incesto

obbrobrioso

- per cui

ora mi avvinghia aculeata rupe –

sarò sbalzato

- tratto nella sedia

gestatoria…

Corone di mani

Corone di volti imploranti

Sarò

dischiodato

da gente

dissoluta

- blasfema –

per l'ultimo baratto

… e poi sgozzato

sul libro del dubbio…

Cadrò

con le flaccide membra…

Sputeranno

- imprecheranno

- alle ceneri sparse…

Nel fiume – insanguinato –

sparirò.

E la croce

- la croce –

danzerà

nel violaceo crepuscolo…

Allora

- oh allora…

(senza scampo è l'anatema)

sarà l'inizio dell'Apocalisse.

*


DIALOGO CON MIO PADRE

Padre, la notte s'è spogliata: aduna

gufi e civette per il grande sabbath

quando la mente straripata – formicolerà – di sulfuree

lune e il destino – schiumerà – in vascelli

di folli di streghe fachiri.


Perché

la morte trionfale prepara giumente di bronzo

inghirlanda la fronte di diademi spettrali

per il sommovimento archetipico

il tripudio – che seppero – i re Magi dei mistici.

Il mondo bolla iridescente svàpora…

Il cavallo dall'ali – arpionanti – già plana

con l'angelo d'infanzia su – ciminiere - gravide

di putrescente – annichilante – gas.


E noi…

noi così dementi

- penitenziali – cerei…

aspettiamo lo squarcio del cratere

la sibilla che grida

che grida

disseminando bambole – chiazzate – di pus.

Padre, il mistero – mitico – dischiude le sue valve.

Ciò che fu predetto fu ampliato in furore di trombe

i sigilli divelti confessano arcaici enigmi.


Il mondo

Che amammo si svela

Controfigura di un Moloch

Sidereo…

Le membra spezzate del Dio

generarono mostri

senza mai fine

- ma i mostri

sono scoppiati in un grottesco riso.

Ed ha vinto la Morte paziente

sacerdotessa del vento…

Accetta, padre, la preghiera del bimbo

trafugato

al di là, nel deserto


contraffatto


del sogno.

*

UN GIORNO SCENDERAI

Signore,

un giorno

scenderai dalle nubi d'argento

col carro di fiamme che esplodono in grida

entro lo sguardo di stella scoppiante

uncinerai le – nostre – piattaforme

i nostri grattacieli

le piramidi.


Un giorno scenderai – fulva cometa –

sulle nostre metropoli schiantate.

Troppo peccammo scatenammo giusto

furore

la tua sacra rabbia.

I nostri

misfatti – hanno tradito – il tuo sorriso

il tuo splendido – sogno – aquilonare.


Troppo peccammo: costruimmo ordigni

di sterminio.

Godemmo di boati

ed – orizzonti – di bagliori.

Croci

uncinate intessemmo in camere a gas

e labari librammo in processioni

- fanatiche – empie.


Facemmo tirassegno sui bambini.

Sventrammo le donne

con voluttuosa insania.

Le città

bombardammo.

La cenere

- cateratte di cenere –

testammo

ai nostri – figli – sciagurati…

° ° °


Quale perdono noi potemmo chiederti

quale preghiera osare?

Dove cercare la tua franta Immagine?

Quando dal Tuo silenzio ci balzasti

e le voci dei giusti calpestati

-dei miseri abbattuti –

in Te si fusero…

i morti si schiodarono dall'ombra

brandirono i sudari come lance

imbracciarono i teschi fiammeggianti.

Ora marciano – insieme a te –

per il grande olocausto.

Per il compimento dei tempi.


Signore,

abbi pietà dei nostri bimbi.

Soltanto – essi –

ancora

non hanno avuto il tempo di peccare.

Essi corrono – ignari – come il vento.


***

Chiedo venia, non mi è stato possibile riprodurre la posizione dei versi come nell'origine.

___


Dalì

TOMASO KEMENY

Tre poesie


Celebro la poesia

Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell'aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d'amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell'avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.

*

Stanze anarchiche

Ninna-nanna del porco mondo
la mia vita t'appartiene
e si trasforma di colpo
in un incubo a cinque stelle.

Chi cavalcherà la tempesta
alla testa dei giovani, dei vecchi, dei decrepiti?
Chi disgregherà lo smercio dei ritmi
spenti? Chi ruggirà
la gioia di vivere?
Chi suggerà la luce
dalle poppe stellate
della notte sconfinata?

*

Lappole

Fare l'amore
lungo il fiume
là dove la sabbia
bianca
diventa un letto
tra gli arbusti

Sentire
la vita
volare
sfiorando
le onde

Nel tuo grembo
di piacere
svanire

"Sei il vento
che mi
increspa
l'anima
di piacere"
mi sussurri,
qualche lappola
attaccata
alle calze di lana
tra salici e pioppi
in fuga
tra gli astri.

Ora il tuo volto
sembra una maschera di vento,
un sospiro infuocato
che mi rapisce l'anima.

L'albero e la sua ombra
tu ed io per sempre.

*

PIERLUIGI CAPPELLO


ASSETTO DI VOLO


Crocetti Editore, 2007


[per gentile concessione

dell' Editore, che ringrazio]

DA DENTRO GERICO

1998-2002


Isola


Padre, io a te

io inchiodato a te su questo scoglio

divino che conosci la tua alba

e allacci la tua potenza al fulmine

da questo culmine di spasimo

io vinto mando a te

vincitore di padri

la prora disorientata delle mie parole.

Concedi a coloro che erano ciechi

e a dismisura adesso vedono,

rotto il sigillo della fiamma,

l'ustione della carezza, il fragore

del pugno, ora che sanno

il tossico del palmo e delle nocche

ed è notte, profonda notte

a occidente di ogni immaginare

ora che le iridi conoscono

le costellazioni del dolore e del piacere,

concedi loro di sopportare

per ogni ciglio sospeso alle tenebre

al tramonto di ogni palpebra sfinita

la pronuncia dell'alba e del crepuscolo

e il rombo immenso, che sale dall'uomo.


*

DA DITTICO

1999-2003


dalla sezione Inniò

[versione in calce alla poesia in friulano]

Caino


Ma per te, Caino, fratello che ti scrivo,

le ginocchia sbucciate e la fronte segnata dal lampo,

rincorrersi, rincorrersi per sempre,

il sangue che batte il tempo, dentro le tempie,

la sua corsa il correre del tuo tremare

e ogni giorno la sosta un passo avanti a te;

per te, Caino, né il soltanto né l'abbastanza

né la pace del prima

né il conforto del dopo in pace,

soltanto la maledizione

di non poter cadere.


***


Dalì - Leda atomica

ANTONIO SPAGNUOLO

Da: Misure del timore

6 – Mare

La brezza ha una speranza lungo l'orizzonte:

una nenia che alberga tra il cielo

ed uno spazio che scivola.

Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele

che intagliano arcobaleni incandescenti.

L'aria ti accarezza come un mutamento

nel capriccio celeste, corrode il sorriso

che vorresti affondare nel flessuoso millennio,

sino a divenire l'incavo dell'iride

e rischia di fluttuare tra le immagini

di un umido segnale.

*

10 – Dialoghi

Non ha senso annotare e scrivere nel nulla.

Desidero tornare a quella dolce malinconia

che ci accompagnava per i viali,

tra rami e ciottoli, tra le erbe aromatiche

ed il muschio, nell'umido rincorrersi.

Simile a quello che un tempo era il procedere

del destino, per scommettere qualche fantasia,

che circondi gli spazi della oltraggiosa passione,

per non tenerla in agguato come un presentimento

insonne sul corrodersi del tempo.

Chiedo un salmo che colmi il cuore,

una voce che tuoni profezie

e appaghi la tortura dell'ira.

Il dialogo che Dio non concesse

nel migrare di ore ventose,

nelle infinite pagine bianche

tramutate in un buffo risuonare dell' eco.

*

11- Ricordi

Come una volta ai miei ricordi,

quando la marina ripeteva richiami,

e gli scogli ascoltavano irrequieti,

ed il tramonto richiamava miraggi,

e le finzioni aggiravano sorprese,

e le acerbe lividure tornavano alle sere,

e brividi tormentavano il fascino delle ombre,

sgranare in silenzio qualche ritaglio

già seppellito più volte

per rinchiudermi nella solitudine.

Una sorpresa di colori,

come riserva ancora primavera,

misconosciuta nel volgere dei giochi

tra le carni per imperfezioni,

quasi mascherata da fiamme

per le mie urgenze che hanno il mutamento

della pelle che arrossa.

Hai l'ultima confidenza con le mie parole

per lasciare le corde degli estremi.

*

12 – Rimbalzi

La luna inceppa nel cielo,

impazzita per le fitte, barcollando,

per le sere che chiudono il mormorio,

a dissuadere gli incontri.

Decifrare il tuo ciglio è l'abbandono

più accogliente,

qualcosa che lentamente sgocciola,

nel fioco riverbero di alcune barriere.

Invano cerco lusinghe

nelle piccole storie quotidiane,

vagabondo a scartare le manie

o ancora una bugia da scoprire.

Più nulla intorno, intese di armonie

che fondono gli sguardi, suoni e colori,

per un'amara nostalgia

che sembra frammentare il passato

Fuggi mentre annaspo nel tempo

mentre fermenta la più strana parola,

e sventrano scorie intimidite

da nuove ferite, nei colori di ovattati

rimbalzi.

sito web di provenienza: https://www.ebook-larecherche.it/

Dalì

GUGLIELMO PERALTA

Da: Sognagione

L'albero della visione

Dammi Signore

la mia cecità

quotidiana

affinché io possa

mangiare

dell'albero

della visione

Nel giardino

soale

insegnami

ad arare

a coltivare

il canto

prodigioso

Ed io

mi nutra

del sonoro

frutto

E la terra

ne abbia

messe copiosa

E gli occhi

esultino

per la vendemmia

*

Sognagione*

Nella piantagione

dei sogni

l'agricantore**

coltiva

la sua messe

di stelle

E la vergine terra

accoglie

il suo canto

apre i frutti

sonori

nella bocca

del mondo

affinché tutti

mangino

dell'albero

in abbondanza

e ciascuno

veda

con gli orecchi

la luce e la dimora

* piantagione (o stagione) dei sogni

** è il poeta soale, che coltiva i sogni e il canto nella terra di Soaltà

*

Rivelazione

Nel sepolcro

di stelle

la notte

sapiente

custodisce

il suo

canto

E il mondo

che all'improvviso

si svela

ha il volto

del sogno

che squarcia

i sipari

*

Messia

Con la sua

scenografia

viene

la parola

lo s-guardo

ad incantare

E la parola

è il golgota

e il sogno

la sua croce

*

Metamorfosi

Vede stelle

lo s-guardo

nel nido

soale

Sull'albero

sono frutti

di luce

sonori

La mano

in ascolto

coglie

il canto

in volo

d'uccello

*

La visita

Io canto l'amore

che con passo di danza

viene a visitarmi

Ed ecco

il mio s-guardo si nutre di oro puro

plana nella notte profonda

come un sole-gabbiano

e l'ospite prima inatteso

ora mi è familiare

Nel giardino soale

cresce

col sillabario celeste

l'albero della visione

Amo quest'amore

che nel cielo infinito moltiplica

le mie braccia

Quando l'angelo viene

ha inizio lo spettacolo

il sogno si spalanca sulla scena

e apre nuovi sipari

Con mille bocche riproduce

il suono delle cornamuse

tracima il firmamento

con tutte le stelle

nello spazio fiorito

e la voce che chiama

silenziosa

è un fiume di luce

Io amo

questa veglia d'amore e di fuoco

amo la soglia segreta

il mistero numinoso

che fa di me un viandante

Amo

la Poesia

che con fruscio d'ali

bussa ed annuncia

Allora i miei passi conoscono

lo stupore del cosmo

E le cose

anche le piccole

e dimenticate cose

sognano il loro angelo

E l'uomo

che vinto si piega all'ascolto

libera le neurostelle*

per il convivio d'amore

* le idee, splendenti come stelle (neologismo dell'autore)

*

Dentro, fuori

Io canto il cielo invisibile

che con intima voce

canta. Dentro,

ove s'annida l'implume

parola, è il mito della nascita.

Fuori, nella falsa luce,

si aliena l'infinito. Ma

rotonda è la visione

che lo s-guardo assapora

nel giardino soale

dove coi sogni vola

la rondine sonora.

Io canto la pura dimora,

la scena segreta che s'apre

allo spettacolo. Dentro,

dove crescono i frutti,

si rinnova il miracolo.

Fuori, nell'uso quotidiano,

marcisce la rosa. Ma

sempreverde è la notte

dal candido calice,

dove sbocciano le stelle

per incanto,

dove fiorisce l'albero

dal fertile respiro del vero.

*

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Dalì - Baccanale

Alfonso Gatto

Notte

Tremo d'esile vena per lontane

arie di suono, mi lusingo in volto.

Come alleviate toccano le vane

solitudini il cielo vuoto, ascolto.

Lungo sereno dileguano piane

voci apparenti nel mondo sepolto:

m'adeguano nel sonno di montane

bare odorose, ed il cuore n'è folto.

*

Erba e latte

Mansueta di campani la sera remota

alle finestre pallide di cielo

odora umido, e tace in gradini la casa vuota.

Svanisce, continuo tepore di gelo,

nella bottiglia verde il latte; nuvole chiare

lontanano nel fioco armonioso tacere

della campagna. Sembra compiuto nel limitare

della mia casa il sonno delle riviere.

Beato volto al sereno, quasi la notte m'apra

continuamente a sgorgare in fragranza.

Tepida e lieve, cauta, mi lambisce una capra:

odora d'erbe e di muschio la stanza.

*

Alba

Passerà l'alba in un sogno

al freddo freddo d'ogni casa

al solitario azzurro del mare.

È nudo il mondo un'altra volta.

Erompa il cuore con la mela rossa

contenta d'esser dura.

In una selva molle di nuvole e di nevi

pozz'acre di verde si rimescola il mare.

Lo spazio smemorato si ridesta

tra lontananze ventilato leggero.

*

Le cose

Un giorno busseranno ad ogni casa,

chi vive è già colpevole d'avere

la sua vita segreta. Scende il buio

della notte, si resta dietro ai vetri

ad aspettare come giunge il vasto

assurdo della quiete. È nelle cose

di sempre ferme al loro posto il nuovo

sguardo impietrito: l'angolo deserto

mette in salvo il fuggiasco o per lo scarto

gli affaccia la sua muta. Sembra un vano

delirio questo credere alle cose.

*

Carri d'autunno

Nello spazio lunare

pesa il silenzio dei morti.

Ai carri eternamente remoti

il cigolìo dei lumi

improvvisa perduti e beati

villaggi di sonno.

Come un tepore troveranno l'alba

gli zingari di neve,

come un tepore sotto l'ala i nidi.

Così lontano a trasparire il mondo

ricorda che fu d'erba, una pianura.

*

Vento sulla Giudecca

I venti, i venti spogliano le navi

e discendono al freddo

e sono morti.

Chi li spiegherà nel rigoglio

delle accese partenze

ove squilla più forte più forte il mare

e l'antenna sventola il mattino?

Tutta donna tutta forte tutto amore

ed è rossa la mela, giallo il pane

della Pasqua d'aprile…

Ed eri calda

ed eri il sole, mattone su mattone,

oltre quel muro la campagna il cielo.

*

Osteria flegrea

Come assidua di nulla al nulla assorta

la luce della polvere! La porta

al verde oscilla, l'improvvisa vampa

del soffio è breve.

Fissa il gufo

l'invidia della vita,

l'immemore che beve

nella pergola azzurra del suo tufo

ed al sereno della morte invita.

(Tutte le poesie, Mondadori, 2017)

Alfonso Gatto nasce a Salerno nel 1909.

Nel 1941 ottiene la cattedra di Letteratura Italiana al Liceo Artistico di Bologna. Alfonso Gatto si dedica inoltre alla pittura e alla critica; è anche attore cinematografico. Muore nel 1976 per le conseguenze di un incidente d'auto.

Fonte: https://poesiaurbana.altervista.org/alfonso-gatto-caffe-letterario/?fbclid=IwY2xjawHJMBtleHRuA2FlbQIxMQABHd_nffF7y2oUpH9dJouH_ZCrLn6nbRpFNhhEZJ3oX7ooV1TnRPyTWC7wrQ_aem_mExjbiU9bjlVte2lwac2Nw


Dalì - L'Ascensione di Cristo

Poesia di Teresio Zaninetti

6

La sera sboccia nelle vene dei lupi

là dove si schiude la ferita

che disegna ombre

( false )

sulla parete mentre fissiamo la ghiandola

di questo amore abbarbicato

alla radice del cancro ,

dunque tu strappi

i chiodi dal torace ed urla

senza voce la pazienza

trucidata nell ' armadio.

io so di favole nascoste sotto il letto

così nuove così vere e antiche

che neppure le cimici potrebbero intaccare…

Teresio Zaninetti ( Gozzano ( Novara ) , 1947 / 2007 ) –

.

da " La finestra si apre… " ( Con una critica di ROBERTO ROVERSI ) Ed. " Ligea " – Catania , 1993 –

.

Commento di Nadine su Assonanze (Wordpress)

Questa poesia di Teresio Zaninetti è un affresco viscerale, carico di immagini crude e potenti, dove il dolore e l'amore si intrecciano in una danza ineluttabile. La "sera" che sboccia nei lupi evoca un'atmosfera inquietante, quasi primordiale, mentre la "ferita" diventa simbolo di un dolore che si espande e distorce la realtà. L'amore, radicato nella malattia ("alla radice del cancro"), appare tanto vitale quanto devastante.

La contrapposizione tra l'urlo silenzioso della "pazienza trucidata" e le "favole nascoste" sotto il letto suggerisce un contrasto tra una realtà aspra e una speranza fragile, antica e intatta. Il lessico è aspro, ma intriso di un lirismo che scava nell'intimità delle emozioni umane, mostrando come persino il dolore più profondo possa generare bellezza. Una poesia che lascia un segno indelebile nella sua feroce dolcezza.


Irene Rapelli

DELICATEZZA

Silenzio è il trasparente
carcere di narcisi da potare.
Attendono solo
che una forbice incida
steli e radici ed il pistillo voli, perpetuamente,
nell'azzurrità rupestre
dove l'abisso si apre a cesure ebbre,
taciute o sfatte di essenza
più sensuale del seme vincolante,
in vene e suoni
di millenni. Sorride
del germoglio zittito l'aura informe,
nuda ed aspersa dell'ultima luce
prima del salto. L'assoluto parla, vivo e nullifico,
di eternità rubata
del tremulo sospiro nella bocca
di fiori della poesia. Ancora qui? Da me
odi delicatezza, un'agonia
che pulsa, implode ed esplode, trabocca, piccola morte
sul margine di ogni rupe, bianchezza, virgola lisa
di pagine elettriche del sole sfrondato
ch'emani. L'assoluto canta nero
duramente, di povera
immensità ridotta a buio
nel tuffo d'acqua.

https://irerapelli.blog/2025/03/13/delicatezza/

.

Giovanni Perri Agua

Vorrei veder tramontare ad oriente
sul breve canale delle canne addormentarmi
sopra una scia di spari cacciatori
fuggire gli alberi a ritroso
e la notte incendiaria sentire
l'annuncio dei cani arancioni
vorrei nascondermi nel fieno di maggio
nell'ampia volta del cielo che pende
sorridere per un ricordo
invertir l'ombra mia stessa
di lividi e dimenticanze
e d'anni che non ritrovo più.
Ma d'ore numinose è fatta
l'anima mia riflessa e d'archi e frecce,
portami il cuore nella luce a planare
sopra un acquaio di malinconie
saltami allegramente sulle sponde
della mia vena d'oro e scrivimi
col vento ogni ferita
degli occhi e della lingua
io ti sono nel canto padre e figlio
e fratello dei cocci lunari
allora fammi terra
fammi profumo di terra e di stalla
oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi
fin dove tocca l'erba la parola
e non v'è peso
né formula dei miei destini accumulati.

.


Giangiacomo Amoretti

Solo nella penombra
più rarefatta e interna,
di là dalle figure
stinte dell'iconòstasi,
fra due colonne, spento
anche l'ultimo cero,
vedrò io – senza un lume
che veli – per un attimo
sospeso e come assolto
dal tempo e dal morire –
l'icona più segreta –
l'invisibile Volto?

.

Settembre. Le ali porpora dei cirri
sfatti nell'alto, gli esodi infiammati
fra cielo e cielo dei rondoni, i voli
e i silenzi e gli spazi,
le albe, i non ritorni
per sempre –
ed i ricordi,
i ricordi che straziano.

.

Spleen

Malinconia dell'angelo che guarda e che non vede,
che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano
più di noi stessi – le sue ali bianche
più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.

Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –
in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.
La linea del confine sempre oltre.
Il mare uguale senza un orizzonte.

E quando si fa sera questo lungo discendere
come di un velo fumido sulle spiagge deserte.
Le acque immote, color blu cobalto.
Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.

.

Mattia Tarantino
21 luglio '18
C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.
Per il Collettivo MalaTerra:

"Oppure da una lingua del Nord
sarà la sillaba che gonfia le ossa
dei morti? Fummo il fanciullo e fummo
l'acrobata: c'è sempre
una fune tra luce e precipizio.

Veniamo a bruciare
le vertebre al cielo, veniamo
a invertire la pioggia:

certi versi sgozzano
le aquile, altri
marciscono i vessilli dell'Impero.

Quest'acqua ci disperde, non conosce
i nomi cui ha rubato sangue
e sorte. A quest'acqua
noi torniamo in obbedienza, senza croci
che trattengano le stelle.

Da lontano una Medea
araba conduce la sardana:
chi rompe il cerchio lo rimette
ai margini del tempio.

Arrivano le schiere: impugnano
e rovesciano il gerundio;
arrivano le gazze

ma tu raccogli solo fiori estinti."

Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele
A Ginevra, che ne custodisce il segreto

.

La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.
Per il Collettivo MalaTerra:

"Ma i versi non sanno
ingoiare le falene quando sempre
più nere e sempre
più feroci insorgono e devastano.

Non sanno quanti nomi
possiamo dare agli angeli, quante
voci setacciare fino all'ultima
vocale ancora intatta.

Non sanno quali giri
porta avanti la fortuna, quali sfere
interrogare perché i bimbi
non confondano il sangue con le rose.

Eppure conoscono
il mistero delle gazze quando legano
alle ali un cielo furibondo."

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