Poeti vari 3
*
Davide Rondoni
Addosso vienimi, non lasciare
spazio, che l'aria il cielo o cosa
sento fare pasto di me se
non ti stringi, non spezzi con linee
strane il disegno delle braccia, il bavero
il torso
se non disponi con il tuo il mio corpo
ai nuovi assalti del giorno
ferma le piastre del respiro
ho qualcosa di troppo antico nel petto,
radunami da tutte le città del mio volto
sono solo ombra che brucia
se la tua non mi viene
subito addosso.
***
LA MORTE CAMMINA A TACCHI ALTI
Di Tiziana Monari
Sgomente
s'ammassano mille bocche
in attesa del pianto
inermi
contano il sangue di angeli caduti
vaga smarrita
senza approdo
una fiumana
di membra sfollate e pietra.
E' sceso il buio
la morte ha camminato con i tacchi alti
impotente
sbircio la pioggia dietro i vetri.
Vorrei solo
portare a Dio
un altro conto da saldare.
[Fonte:
Stravagario Emozionale - numero 4 aprile 2009]
***
DAVID MARIA TUROLDO
(1916 - 1992)
Mostrati, Signore
a tutti i cercatori del tuo volto,
mostrati, Signore,
a tutti i pellegrini dell'assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati perché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.
*
Tutto deve ancora avvenire nella pienezza:
storia è profezia sempre imperfetta.
Guerra è appena il male in superficie
Il grande Male è prima,
Il grande Male è amore-del-nulla.
Per favore, non rubatemi
la mia serenità.
*
E la gioia che nessun tempio ti contiene,
o nessuna chiesa t'incatena:
Cristo sparpagliato per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:
Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:
Cristo dei pubblicani,
delle osterie, dei postriboli,
il tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.
*
Ti sento, Verbo, risuonare dalle punte dei rami
dagli aghi dei pini dall'assordante
silenzio della grande pineta
-cattedrale che più ami- appena
velata di nebbia come
da diffusa nube d'incenso il tempio.
Subito muore il rumore dei passi
come sordi rintocchi:
segni di vita o di morte?
Non è tutto un vivere e insieme
un morire? Ciò che più conta
non è questo, non è questo:
conta solo che siamo eterni,
che dureremo, che sopravviveremo...
Non so come, non so dove, ma tutto
perdurerà: di vita in vita
e ancora da morte a vita
come onde sulle balze
di un fiume senza fine.
Morte necessaria come la vita,
morte come interstizio
tra le vocali e le consonanti del Verbo,
morte, impulso a sempre nuove forme.
*
Non so quando spunterà l'alba
non so quando potrò
camminare per le vie del tuo paradiso
non so quando i sensi finiranno di gemere
e il cuore sopporterà la luce.
E la mente (oh la mente!) già ubriaca,
sarà finalmente calma e lucida:
e potrò vederti in volto senza arrossire.
*
"Anche Tu / finivi con la certezza di essere /
un abbandonato./ Anche Tu / non sapevi!
E hai gridato il perché/ di tutti i maledetti,
appesi / ai patiboli. E non era / desiderio di
sapere la ragione / del morire: non questo, /
non la morte è l'enigma.../ Mistero è che
nessuno comprende / come Tu possa, Dio,
coesistere / insieme al Male..."
(O sensi miei..., p. 606)
*
Liberata l'anima ritorna
agli angoli delle strade
oggi percorse, a ritrovare i brani.
Lì un gomitolo d'uomo
posato sulle grucce,
e là una donna offriva al suo nato
il petto senza latte.
Nella soffitta d'albergo
una creatura indecifrabile:
dal buio occhi uguali
al cerchio fosforescente di una sveglia
a segnare ore immobili.
E io a domandare alle pietre agli astri
al silenzio: chi ha veduto Cristo?
*
Perfino gli ulivi piangevano quella notte,
e le pietre erano più pallide e immobili,
l'aria tremava tra ramo e ramo
quella Notte.
E dicevi: "Padre, se è possibile...".
Così da questa ringhiera
quale un reticolato da campo
di concentramento, iniziava
la tua Notte.
Si è levata la più densa Notte
sul mondo tra questa
e l'altra preghiera estrema:
"Perché, perché... ma perché, mio Dio..."
Notte senza lume: disperata
tua e nostra Notte. "Perché...?"
*
Padre,
non sappiamo più ascoltare;
Padre,
nessuno più ascolta nessuno:
nessuno sa fare più silenzio!
Abbiamo perso
il senso della contemplazione,
perciò siamo così soli e vuoti,
così rumorosi e insensati;
e inevitabilmente idolatri!
Anche quando l'angoscia ci assale
donaci, o Padre, di non dubitare;
o anche di dubitare,
ma insieme di sempre più credere:
di credere alla tua fedeltà,
al tuo amore
al di là di tutte le apparenze;
e con il tuo Spirito
sempre presente
nella nostra storia.
(da "La notte del Signore")
***

Joë BOUSQUET
FUMAROLA
L'AMORE
nello specchio che affascina gli astri
POVERA
fumarola
SI
preferisce credere di aver sognato il tuo destino
e che nessuno conosca sogno
più esattamente significativo
di una laboriosa digestione
COSÌ
in piedi sulla terra che ti si rotola attorno
e ti stringe con i suoi anelli
ma
i tuoi occhi con i loro tesori
di ricordi e di visioni
subiscono l'attrazione di un astro
invisibile e quell'astro ha una stella
gemella che ti cattura con le canzoni
ch'ella ti fa sentire
e il tuo volto è appeso
alla quadriga stellare
affinché la terra vi entri
con gli orizzonti che ti hanno fatta
e che tu respiri
quando ami
E
tutto ciò che è in questo mondo
ti violenta con i suoi profumi
brucia dentro di te come una lampada
e prende dal tuo cuore delle
ispirazioni amorose
di cui ti ricopre
davvero bisogna che in piedi
seduta o distesa e perfino
con le gambe all'aria
e il sedere al vento tu
tenda dentro di te la ragnatela
ma
questo lavoro da schiavi
fa pietà
NON
si uscirà dunque mai
COME
si comprende il perverso
che vuole essere amato fino alla follia
e imporre all'innocenza
un amore che sia l'oblio
del proprio sesso
ah quello prende il fiore delle sfere
pianta una radice nella vita animale
e subito sente nella sua paura
la vastità e la pesantezza alata
di quella verità che l'occhio
di un uomo non può scorgere
MI
hanno spezzato le ossa affinché diventi
il pensiero la trasparenza di questa verità
e che l'insegni agli uomini
perché essa non può mangiarmi le viscere
L'AMORE
è eterno
come
gli altri amano
delle capre o delle pecore
io
amerò una
BAMBOLA
***
L'OMBRA DI UN'OMBRA
I
La luce fa spazio alla pura verità dei rumori
che si rintanano. Crepuscolo ansioso in cui, nella camera
di un malato, un ciuffo di giglio si ricorda che è
stato giorno.
Tutta la calma della sera, tregua di un cielo che
si dipinge le sue rive.
Ma colui che sa ha degli occhi per vedere il
bianco, il lungo dileguamento in cui le trasparenze
dell'aria sono le sole a sopravvivere, colui che sa che la
bellezza di una donna sogna senza fine quella
felicità che egli ha perduto…
Ascolta, è dolce, l'estate viene di notte
quest'anno. Ascolta, la canzone si ricorda di un
amore senza troppo sapere se si tratta del tuo…
Nell'ora strana che si capovolge, il silenzio viene
da per tutto. L'ombra del'anima, dove brillano
debolmente le forme degli esseri che io amo, mi
appare in tutta la sua grandezza rocciosa, e sento
che la mia realtà d'uomo è per un istante come
schiacciata davanti all'altezza di quello che chiamo il
mio sogno. Altezza materiale e sensibile, che ravviva
attorno a sé un orizzonte interiore in cui la purezza
delle forme è così grande da riuscire a dividere le
tenebre sulla propria chiarezza. Comprimo con due
mani il mio cuore che batte, perché, in questo
scorcio aperto su delle tenebre che fanno regnare
soltanto il mio essere su di me, scopro che il
sentimento della mia umanità si perde, e che
davanti a me, tremante, interdetto, sotto il cielo
morto di una fatalità implacabile, la mia vita ascolta
la mia vita.
Nessuno sa se io dormo. I miei occhi hanno
sognato che non c'erano più lacrime. Nella debole
luce che cade dalle stelle, mi sembra che la mia
anima interroghi il cielo attraverso il pallore del mio
volto che rabbrividisce; e indovino che ogni cosa
vivente si oblia nell'apparizione di una bellezza che,
in me stesso, è silenzio. Solo, come se nessuno
sapesse chi sono, ascolto nella vita dell'ora più
irreale il gemito di tutto ciò che vuol finire e pensa
così di sopravvivere. C'è per me nella macchia scura
di un vetro, sotto i tetti così lontani dalla finestra in
cui mi trattengo, un bambino che scrive il suo diario
senza sapere che egli sarà infelice e che mai una
donna si chiederà che cosa abbia portato dentro il
suo amore.
[...]***
da La conoscenza della sera (La Connaissance du Soir, 1947)
traduzione di Annamaria Laserra, in
Poesia Due, Milano, Guanda, 1981.
Passare
Infanzia passata nello spazio
Come un volo inseguito fino a sera
Chiamo piano la tua ombra
Per paura di vederti
Sorella a lutto dalla veste chiara
La tua fuga è l'uccello blu dei giorni
Che con il suo canto rischiara
I gesti sognati dall'amore
Una fanciulla per il tuo incanto
Con il corpo abbozzato nei cieli
Fece sciogliere le città in pianto
Illuminate nei suoi occhi
E avesti il coraggio di rendere
Il mio dubbio più vivo di me
Passarosa dalle ali di cenere
Che mi aprivi il tuo cuore nel vento
*
Il largo
Non è il suo nome a esaltarlo
Ma che piano sia mormorato
Nelle voci che non conosce
Il segreto di un cuore incrinato
Quando ogni lamento gli svela
Di che cosa abbia pianto la pena
L'uomo sente il suo cuore chiamarlo
Nelle voci che l'hanno ignorato
Così vedono tutte le stelle
Avverarsi la notte delle vette
Ventilando nella notte con le ali
La voce di qualcuno che verrà
Lui il suo male è la stessa pietà
Ciò che è lui a sua volta si oscura
E per rendergli quello che ama
Si rivolge alla pena del giorno
*
Madrigale
Dal tempo che era amata stanca di se stessa
Lei aveva giurato d'essere questo amore
E ne fu l'incanto lui ne fu il poema
La terra è leggera a promesse passate
Il vento piangeva gli uccelli migranti
Cullando i mari sulle ali di sale
Prendo la stella con una bella nuvola
Se la pagina bianca ha consumato il cielo
Nell'aria che fiorisce al suo riso
C'è un vecchio cavallo color del cammino
Capisci al suo passo la morte che m'ispira
E che va senza me a chiederne la mano
*
Poema della sera
Su un giaciglio sfinito
Il lampo che oscura un istante
Mette la veste di fumo
E segue il vento distante
Su terre senza memoria
Ogni piede ha la sua scarpa
L'ala è bianca l'ala è nera
Il giorno è solo metà
E su una trama di cenere
Dove l'uomo non è che i suoi passi
Il cuore palpitò per cogliere
Ciò che uno sguardo non vede
E' la speranza che un mondo a venire
Abbia fatto buio con la nostra ombra
E sorridendoci alla finestra
Abbia solo i nostri occhi per vedersi
Dietro le quartine che lei ispira
Ai giorni che dubitano di te
La vita ha i suoi denti per sorridere
Di ciò che una volta era già stata
*
L'ombra gemella
Varca la notte senza sponde
Se tu sei solo vagamente
L'oblio restituirà il tuo volto
Al cuore da cui nulla è assente
Il tuo silenzio nato da un'ombra
Che a tutto il cielo l'ha unito
Schiude l'amore dove ti abbandoni
Alle braccia di un doppio infinito
E annullandoti sotto i tuoi veli
Presi alla notte da un fiore
Concede occhi alla stella
Di cui la tua ombra è il cuore
*
La fortuna dei giorni
Io so un rosaio dove sboccia una rosa
Non c'è più notte per l'ombra che è
Da un'aiola errante di bagliori chiusi
Dove lo sciame vibrava dei giorni passati
Non c'è fuoco nel buio che il cielo non l'abbia
Con il mio amore morto a tante cose
Tessevo il drappo funebre dei voti sfumati
Era quello di un pianto in cui sboccia una rosa
Alba di una vita estranea ai giorni
L'oblio dell'imprevisto morto dal nostro amore
Dischiude nel fiore la mano che lo stringe
E senza me cogliendo la rosa delle notti
Una sorella di cenere lascia le nostre terre
Rende il corpo lunare ai morti che io sono
*
Giorno e notte
Sul corpo di un uccello di bosco
Inchiodati dalle sue ali immense
I giorni crocifissi alle notti
Aggiungono un nome al silenzio
Passando su lui senza vederlo
Fanno occhi più grandi della vita
All'amante che strugge di sapere
Come si muoia d'essere gradita
I giorni che disfecero i fiori
Per seppellirsi sotto il loro peso
Si sono uniti al cielo nei cuori
Dove s'aprono le ali dell'ombra
Denudandosi sotto le acque
Che la sua trasparenza ha velato
Il mattino che nasce a occhi chiusi
Allibisce di una stella fuggita
La croce che spalanca l'orizzonte
Sente in voci che si chiamano
Due nomi sbocciare un canto
Dove l'alba ride di una rondine
***

TIZIANO FRATUS
Il vangelo della carne, 2008
[torinopoesia.org]
da: Parte prima / Poesie in pelle
dittico marino
I.
a picco sul mare ogni giorno il sole sulla terra
mentre rinunciamo ad afferrare le parole che ci piacciono e rassicurano
raccogliamo noi in noi chini sulla sabbia compatta della spiaggia
rami secchi conchiglie spolpate e pezzi di vetro
li cataloghiamo nel nostro personale linguaggio mediocremente scientifico
li sedimentiamo in vasi trasparenti sigillati da tappi di sughero
ci capiamo senza ragionare in queste corte giornate di vento a piedi nudi
ci basta l'istinto l'intesa lo sguardo e il tatto
il resto del mondo resta in bilico ma le uniche notizie le scoviamo tra le braccia
scolpite tra ossa e arterie setacciate nel sangue
emerse di colpo sul fiorire delle labbra
ad un passo dal ruggire delle onde che spazza via ogni tentativo di fissità
II.
i piedi fasciati nelle scarpe che abbiamo comprato insieme
in una mattina di pioggia
sprofondano lateralmente nelle sabbie della spiaggia deserta
mentre il vento riempie le orecchie fessura le palpebre e arriccia le onde del mare
grigi e blu minerali mischiati in un continuo pulsare d'animale
che non tace un attimo
accade e non di rado che la felicità si faccia strada in noi
quando la parola non ha modo di fluire
quando ci si bacia negli occhi e ci si tiene per mano
e si resta appesi al presente privo di lividi
*
da: Parte seconda / Vene maggiori e vene minori
sei un uomo che crede in un unico dio
sei un uomo che crede in un unico dio
figlio di una terra dimenticata e dalle radici in continua ricerca di profondità
sei un uomo del mare rimasto senza pesci e senza fiato per tenere stretto fra le mani
il rumore della risacca che si rincorre in cavalloni che percorrono distanze maggiori
di quelle che separano i pianeti le costellazioni il cuore indurito di due amanti tagliati in parti
sei un uomo spento nel cuore del vulcano
sei un uomo senza futuro e con un passato mozzato e sbiadito
sei un uomo forse che si è dimenticato cosa possa essere un uomo
sei un uomo senza arti senz'anima
le figure umane costrette dentro le cornici nere che adornano le stanze della tua abitazione
dormi con gli occhi chiusi le rughe incarnate
le ciocche di capelli sfuggite ad un'idea vaga di ordine
sei un uomo che piange negli angoli nascosti dei castelli e dei musei che visiti
sei un uomo che ama tradendo sé stesso e tradisce sé stesso amando
senza riuscire mai a tradire e nemmeno ad amare
sei un uomo che sente ridere i ricordi lontani che non ha mai saputo raggiungere
sei un uomo che brulica in un abito di api intente nella piccola misura del loro ronzare
sei un uomo che si consuma come il fumo di una sigaretta svanendo verso il basso
o verso l'alto o verso un punto qualsiasi dell'universo
*
progetto architettonico per un acquedotto
la vita sgocciola e per quanto tu stringa perde sempre
quella goccia che nelle ellissi della luce sembra nulla
nel cubo di silenzio della notte scava a fondo
scuote i cieli e le profondità della terra
solleva i fondali degli oceani e ribolle il sangue
un'idea d'amore che non dà scampo
bracca la notte per annidarsi sotto cute e rifiorire il giorno
ti fotocopia al negativo
ti converte all'antica pratica del pianto per amore
a cui non avevi mai creduto
eppure se la vita tua può essere salvata
dipende anche dallo schianto della debolezza
dalle parole che scrivi la mattina sulla sabbia
a pochi centimetri dall'acqua
dal sapere abbracciare invece di fuggire
invece di uccidere
*
le legioni sguarnite dell'innocenza
I.
in anni lanosi di scorie o detriti che caricano le bocche e gonfiano le pupille
ti abbandoni all'idea che il vuoto pneumatico che pompa le ore del giorno e della notte
possa essere colmato e disatteso dalla compagnia occasionale
che sia possibile che da fuori qualcuno arrivi a stappare
per consentire lo sgorgo del mare nero che respira dentro le pareti dell'esistere
in anni raccolti i segni di una cura inefficace
in anni ti percuoti a insistere nell'errore
in anni ti racconti storie che non convincono nemmeno le statue nelle chiese
quando fra un passo e l'altro ti rifugi sotto lo sguardo pietroso di
una madonna di un san filippo o di un santo stefano
sedendoti in mezzo ai banchi vuoti
sui legni scheggiati dai secoli e dai silenzi di chi si pente
depositi monete che transitano dal buio delle tasche al buio delle scatole
abbassi il viso e componi una preghiera laica
fingi di rivolgerti al signore o al detentore spirituale della chiesa
chiedi scusa goffamente
chiedi perdono e talvolta cerchi di dire qualcosa che sappia di religioso
la cura dell'anima
la fuga dal vuoto della solitudine
passa per il silenzio delle stanze da letto
piuttosto che nel baccano confuso dei lamenti di due esseri senza pace
guarda il nostro respiro dico contando le ossa del tuo costato
[...]
*
alle porte di san pietro
si dice che si soffra per amore
in verità si soffre per mancanza d'amore
per quel senso di distanza che s'innesta nel sentiero dell'impotenza
dopo una quaresima di morti bianche
innescate dall'abbandono alle leggi del vangelo della carne
a braccia a testate a morsi avrei abbattuto le porte di san pietro
e divelto mani e alabarde delle guardie che si sarebbero interposte
fra la mia rabbia e il centro della conoscenza che fa della
filosofia commercio di reliquia
non interessava contestare il potere
lividare il dubbio di un'epoca densa di contusioni
è chiaro che l'uomo è in fuga dalla decadenza
dal giorno stesso del concepimento
il sangue nascosto schizza dalle atroci convulsioni dei corpi
macchia di scuro il vortice dei pensieri che nel silenzio dei secoli
preme al fondo dell'anima
senza che se ne renda conto piuttosto di raggiungere la punta delle lingue
una visione di mimi francesi e acrobati russi si inalbera
nel cuore del paesaggio
sul palcoscenico scarsamente illuminato
con una luce troppo chiara per rendere giustizia delle intenzioni del regista
quelle vesti riutilizzate da un'antica rappresentazione del riccardo terzo
emanano polvere ad ogni rilassamento nervoso
effetti che il pittore fatica a rendere nei giochi di ombre
del quadro a cui sta dando la caccia da anni
pensare da troppo tempo d'essere responsabili del proprio dolore
al di là di quello che altri dicono e compiono e azionano
si gira e dimentica il nome e il cognome con cui è stato battezzato
un coro di vergini vestali della dea atena e un controcanto di castrati romani
inneggiano al sacrificio che bisogna compiere per salvare sé stessi da sé stessi mentre da un pulpito giovanni sartori
rispiega la politica per la milionesima botta
le donne usano nuovamente dipingersi nèi finti a lato del labbro
*
testa contro testa
proprio non so perché nella tua testa ti dica che per noi il futuro
non può che essere di dolore
non c'è alcun merito nel ritrovarsi nel sangue di un'altra persona
nel sentirsi così chimicamente in fusione
come avviene in noi quando siamo insieme
e ora in questo momento vorrei chiudere gli occhi
e riaprirli lì accanto a te sdraiati nel letto insieme
l'una contro l'altro ad accarezzarci a dirci piccole parole senza significato
*
da: Parte terza / I muri bianchi
sguardo miope di un discendente di galileo galilei
non raggiunge il silenzio qua carcerato
il tremolante gorgheggio del mare
ferito dalle lame del sole
che oggi illumina la distesa delle sabbie
le cinque pareti bianche che circondano
hanno perso presto la memoria della tua voce
le tue parole suicide su qualche foglio di carta
anche le tue foto riposano vuote
so che ti stai facendo divorare dal dubbio
dal torchio oliato del dolore
in una parte della città che non mi è concesso raggiungere
mormoro tra me e me il tuo nome
lo ripeto in chiesa quando riesco a trovare la forza di uscire fra la gente
ma a volte sembra che noi due non sia mai esistito
***

Pierluigi Cappello

GIUSEPPE VETROMILE
UN PUGNO DI TEMPO
Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla liquefatta balconata dopo aver rimesso in tasca
l'ultima ombra della cuccagna agguantata ieri in un effluvio
di sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e la luce
vi piove attorno come per accontentarlo io e lui
non siamo che gravità occasionali impulsi di terra
raccontati al cielo infinito come una fiaba per dormienti
buoni e castigati
non si sa mia cara veniamo da vicine ombre
l'uno all'altra affacciato per sentire le cose con gli stessi sensi
e i riti riprendere per esorcizzare la malasorte
e viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia
nulla ci abbandona se non quest'ombra a sera e ci distacca la luna
dalle nostre orbite subliminali è vero siamo fantasmi mia cara
che cercano speranza nel buio corridoio
tra una stanza e l'altra
in abbondanza di miti scritti sulla nostra pelle di consumatori a sbafo
[segnalata con particolare menzione al XLIV Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n. 3/2006]
*
NON CI TOCCA LA SPERANZA
Siamo brevi incastri di terra e perdono:
mai nessuna nostra molecola è andata oltre
l'accoppiamento chimico dovuto
scritto nel quaderno del creato
un tornare indietro mille volte con la mente
cercando una possibile rinascita
laggiù nell'eden
o venuta dai cieli misteriosi
la nostra scaturigine ancora intonsa
e densa di peccato e immodestia
noi voluminoso amplesso di infiniti organi
incasellati da Dio in un fiat di luce
Non ci tocca la speranza
né l'avidità del prodigo figlio
che ritorna a scardinare ogni avere
per un attimo di felicità infeconda
Non ci tocca il domani inesistente e sgravato ora
pensando ad impossibili certezze
(nulla è il tempo che scandiamo ancora
dentro di noi)
mia cara:
ci dissero di profanare l'ombra e la morte
smagrirci fino a diventare spirito innocente
ma dove si compie il destino del sole
è su questo amen che ci richiude per sempre
nell'abito di terra
in questo qualsiasi giorno che non ci appartiene
[segnalata al XLVI Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n.3/2008]
***
DORIAN VERUDA
Da Sarò l'ultimo papa
Genesi Editrice, 1987
Collana di Poesia I Gherigli - n° 25
PROMETEO – L'ELETTO
A Sergio Quinzio
1.
Condannato a fissare
Spire – su spire – di luce…
- laggiù
carriarmati si cozzano – esplodono – il napalm
erige ululanti piramidi-torce
La cupola
è diventata falò gigantesco
… e la folla
… la folla ubriaca…
crepita
nel martirio
supremo…
La croce…
la croce…
danzerà…
nel violaceo
crepuscolo…
Sarò
L'ultimo Papa
- l' Eletto…
Me ucciso…
l'orgiastico – tripudio – di abominio…
culminerà…
L'epocale fastigio.
Poi calerà la – celestiale – armata.
2.
Nelle membra – inrocciate – una gioia
- orrenda – formicola.
E mentre
per l'etere fisso sciamare quei punti
barbuglianti – con essi compulso
mi dissemino in quegli – assorti – nodi.
Divengo un'orbita anch'io.
(Nel tuo sudario
accoglimi
- o Notte –
oppiaceo…)
Ahi – nella grande
metamorfosi
- esplode –
di fuoco
- la memoria precosmica.
(Nel tuo
- calamitato –
maestoso
orgasmo…
mi allucino…
dilato…)
3.
Pupazzo
mi guardo
- lustrale…
- alla forca
- mi tasto –
penzo
lante
- del colonnato di San Pietro.
Ma tu…
redivivo Plutone
- Lucifero…
Ahriman…
non avrai
il mio sangue
- per sempre –
il mio scettro…
Dall'
incesto
obbrobrioso
- per cui
ora mi avvinghia aculeata rupe –
sarò sbalzato
- tratto nella sedia
gestatoria…
Corone di mani
Corone di volti imploranti
Sarò
dischiodato
da gente
dissoluta
- blasfema –
per l'ultimo baratto
… e poi sgozzato
sul libro del dubbio…
Cadrò
con le flaccide membra…
Sputeranno
- imprecheranno
- alle ceneri sparse…
Nel fiume – insanguinato –
sparirò.
E la croce
- la croce –
danzerà
nel violaceo crepuscolo…
Allora
- oh allora…
(senza scampo è l'anatema)
sarà l'inizio dell'Apocalisse.
*
DIALOGO CON MIO PADRE
Padre, la notte s'è spogliata: aduna
gufi e civette per il grande sabbath
quando la mente straripata – formicolerà – di sulfuree
lune e il destino – schiumerà – in vascelli
di folli di streghe fachiri.
Perché
la morte trionfale prepara giumente di bronzo
inghirlanda la fronte di diademi spettrali
per il sommovimento archetipico
il tripudio – che seppero – i re Magi dei mistici.
Il mondo bolla iridescente svàpora…
Il cavallo dall'ali – arpionanti – già plana
con l'angelo d'infanzia su – ciminiere - gravide
di putrescente – annichilante – gas.
E noi…
noi così dementi
- penitenziali – cerei…
aspettiamo lo squarcio del cratere
la sibilla che grida
che grida
disseminando bambole – chiazzate – di pus.
Padre, il mistero – mitico – dischiude le sue valve.
Ciò che fu predetto fu ampliato in furore di trombe
i sigilli divelti confessano arcaici enigmi.
Il mondo
Che amammo si svela
Controfigura di un Moloch
Sidereo…
Le membra spezzate del Dio
generarono mostri
senza mai fine
- ma i mostri
sono scoppiati in un grottesco riso.
Ed ha vinto la Morte paziente
sacerdotessa del vento…
Accetta, padre, la preghiera del bimbo
trafugato
al di là, nel deserto
contraffatto
del sogno.
*
UN GIORNO SCENDERAI
Signore,
un giorno
scenderai dalle nubi d'argento
col carro di fiamme che esplodono in grida
entro lo sguardo di stella scoppiante
uncinerai le – nostre – piattaforme
i nostri grattacieli
le piramidi.
Un giorno scenderai – fulva cometa –
sulle nostre metropoli schiantate.
Troppo peccammo scatenammo giusto
furore
la tua sacra rabbia.
I nostri
misfatti – hanno tradito – il tuo sorriso
il tuo splendido – sogno – aquilonare.
Troppo peccammo: costruimmo ordigni
di sterminio.
Godemmo di boati
ed – orizzonti – di bagliori.
Croci
uncinate intessemmo in camere a gas
e labari librammo in processioni
- fanatiche – empie.
Facemmo tirassegno sui bambini.
Sventrammo le donne
con voluttuosa insania.
Le città
bombardammo.
La cenere
- cateratte di cenere –
testammo
ai nostri – figli – sciagurati…
° ° °
Quale perdono noi potemmo chiederti
quale preghiera osare?
Dove cercare la tua franta Immagine?
Quando dal Tuo silenzio ci balzasti
e le voci dei giusti calpestati
-dei miseri abbattuti –
in Te si fusero…
i morti si schiodarono dall'ombra
brandirono i sudari come lance
imbracciarono i teschi fiammeggianti.
Ora marciano – insieme a te –
per il grande olocausto.
Per il compimento dei tempi.
Signore,
abbi pietà dei nostri bimbi.
Soltanto – essi –
ancora
non hanno avuto il tempo di peccare.
Essi corrono – ignari – come il vento.
***
Chiedo venia, non mi è stato possibile riprodurre la posizione dei versi come nell'origine.
___

Dalì
TOMASO KEMENY
Tre poesie
Celebro la poesia
Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell'aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d'amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell'avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.
*
Stanze anarchiche
Ninna-nanna del porco mondo
la mia vita t'appartiene
e si trasforma di colpo
in un incubo a cinque stelle.
Chi cavalcherà la tempesta
alla testa dei giovani, dei vecchi, dei decrepiti?
Chi disgregherà lo smercio dei ritmi
spenti? Chi ruggirà
la gioia di vivere?
Chi suggerà la luce
dalle poppe stellate
della notte sconfinata?
*
Lappole
Fare l'amore
lungo il fiume
là dove la sabbia
bianca
diventa un letto
tra gli arbusti
Sentire
la vita
volare
sfiorando
le onde
Nel tuo grembo
di piacere
svanire
"Sei il vento
che mi
increspa
l'anima
di piacere"
mi sussurri,
qualche lappola
attaccata
alle calze di lana
tra salici e pioppi
in fuga
tra gli astri.
Ora il tuo volto
sembra una maschera di vento,
un sospiro infuocato
che mi rapisce l'anima.
L'albero e la sua ombra
tu ed io per sempre.
*
PIERLUIGI CAPPELLO
ASSETTO DI VOLO
Crocetti Editore, 2007
[per gentile concessione
dell' Editore, che ringrazio]
DA DENTRO GERICO
1998-2002
Isola
Padre, io a te
io inchiodato a te su questo scoglio
divino che conosci la tua alba
e allacci la tua potenza al fulmine
da questo culmine di spasimo
io vinto mando a te
vincitore di padri
la prora disorientata delle mie parole.
Concedi a coloro che erano ciechi
e a dismisura adesso vedono,
rotto il sigillo della fiamma,
l'ustione della carezza, il fragore
del pugno, ora che sanno
il tossico del palmo e delle nocche
ed è notte, profonda notte
a occidente di ogni immaginare
ora che le iridi conoscono
le costellazioni del dolore e del piacere,
concedi loro di sopportare
per ogni ciglio sospeso alle tenebre
al tramonto di ogni palpebra sfinita
la pronuncia dell'alba e del crepuscolo
e il rombo immenso, che sale dall'uomo.
*
DA DITTICO
1999-2003
dalla sezione Inniò
[versione in calce alla poesia in friulano]
Caino
Ma per te, Caino, fratello che ti scrivo,
le ginocchia sbucciate e la fronte segnata dal lampo,
rincorrersi, rincorrersi per sempre,
il sangue che batte il tempo, dentro le tempie,
la sua corsa il correre del tuo tremare
e ogni giorno la sosta un passo avanti a te;
per te, Caino, né il soltanto né l'abbastanza
né la pace del prima
né il conforto del dopo in pace,
soltanto la maledizione
di non poter cadere.
***

Dalì - Leda atomica
ANTONIO SPAGNUOLO
Da: Misure del timore
6 – Mare
La brezza ha una speranza lungo l'orizzonte:
una nenia che alberga tra il cielo
ed uno spazio che scivola.
Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele
che intagliano arcobaleni incandescenti.
L'aria ti accarezza come un mutamento
nel capriccio celeste, corrode il sorriso
che vorresti affondare nel flessuoso millennio,
sino a divenire l'incavo dell'iride
e rischia di fluttuare tra le immagini
di un umido segnale.
*
10 – Dialoghi
Non ha senso annotare e scrivere nel nulla.
Desidero tornare a quella dolce malinconia
che ci accompagnava per i viali,
tra rami e ciottoli, tra le erbe aromatiche
ed il muschio, nell'umido rincorrersi.
Simile a quello che un tempo era il procedere
del destino, per scommettere qualche fantasia,
che circondi gli spazi della oltraggiosa passione,
per non tenerla in agguato come un presentimento
insonne sul corrodersi del tempo.
Chiedo un salmo che colmi il cuore,
una voce che tuoni profezie
e appaghi la tortura dell'ira.
Il dialogo che Dio non concesse
nel migrare di ore ventose,
nelle infinite pagine bianche
tramutate in un buffo risuonare dell' eco.
*
11- Ricordi
Come una volta ai miei ricordi,
quando la marina ripeteva richiami,
e gli scogli ascoltavano irrequieti,
ed il tramonto richiamava miraggi,
e le finzioni aggiravano sorprese,
e le acerbe lividure tornavano alle sere,
e brividi tormentavano il fascino delle ombre,
sgranare in silenzio qualche ritaglio
già seppellito più volte
per rinchiudermi nella solitudine.
Una sorpresa di colori,
come riserva ancora primavera,
misconosciuta nel volgere dei giochi
tra le carni per imperfezioni,
quasi mascherata da fiamme
per le mie urgenze che hanno il mutamento
della pelle che arrossa.
Hai l'ultima confidenza con le mie parole
per lasciare le corde degli estremi.
*
12 – Rimbalzi
La luna inceppa nel cielo,
impazzita per le fitte, barcollando,
per le sere che chiudono il mormorio,
a dissuadere gli incontri.
Decifrare il tuo ciglio è l'abbandono
più accogliente,
qualcosa che lentamente sgocciola,
nel fioco riverbero di alcune barriere.
Invano cerco lusinghe
nelle piccole storie quotidiane,
vagabondo a scartare le manie
o ancora una bugia da scoprire.
Più nulla intorno, intese di armonie
che fondono gli sguardi, suoni e colori,
per un'amara nostalgia
che sembra frammentare il passato
Fuggi mentre annaspo nel tempo
mentre fermenta la più strana parola,
e sventrano scorie intimidite
da nuove ferite, nei colori di ovattati
rimbalzi.
sito web di provenienza: https://www.ebook-larecherche.it/

Dalì
GUGLIELMO PERALTA
Da: Sognagione
L'albero della visione
Dammi Signore
la mia cecità
quotidiana
affinché io possa
mangiare
dell'albero
della visione
Nel giardino
soale
insegnami
ad arare
a coltivare
il canto
prodigioso
Ed io
mi nutra
del sonoro
frutto
E la terra
ne abbia
messe copiosa
E gli occhi
esultino
per la vendemmia
*
Sognagione*
Nella piantagione
dei sogni
l'agricantore**
coltiva
la sua messe
di stelle
E la vergine terra
accoglie
il suo canto
apre i frutti
sonori
nella bocca
del mondo
affinché tutti
mangino
dell'albero
in abbondanza
e ciascuno
veda
con gli orecchi
la luce e la dimora
* piantagione (o stagione) dei sogni
** è il poeta soale, che coltiva i sogni e il canto nella terra di Soaltà
*
Rivelazione
Nel sepolcro
di stelle
la notte
sapiente
custodisce
il suo
canto
E il mondo
che all'improvviso
si svela
ha il volto
del sogno
che squarcia
i sipari
*
Messia
Con la sua
scenografia
viene
la parola
lo s-guardo
ad incantare
E la parola
è il golgota
e il sogno
la sua croce
*
Metamorfosi
Vede stelle
lo s-guardo
nel nido
soale
Sull'albero
sono frutti
di luce
sonori
La mano
in ascolto
coglie
il canto
in volo
d'uccello
*
La visita
Io canto l'amore
che con passo di danza
viene a visitarmi
Ed ecco
il mio s-guardo si nutre di oro puro
plana nella notte profonda
come un sole-gabbiano
e l'ospite prima inatteso
ora mi è familiare
Nel giardino soale
cresce
col sillabario celeste
l'albero della visione
Amo quest'amore
che nel cielo infinito moltiplica
le mie braccia
Quando l'angelo viene
ha inizio lo spettacolo
il sogno si spalanca sulla scena
e apre nuovi sipari
Con mille bocche riproduce
il suono delle cornamuse
tracima il firmamento
con tutte le stelle
nello spazio fiorito
e la voce che chiama
silenziosa
è un fiume di luce
Io amo
questa veglia d'amore e di fuoco
amo la soglia segreta
il mistero numinoso
che fa di me un viandante
Amo
la Poesia
che con fruscio d'ali
bussa ed annuncia
Allora i miei passi conoscono
lo stupore del cosmo
E le cose
anche le piccole
e dimenticate cose
sognano il loro angelo
E l'uomo
che vinto si piega all'ascolto
libera le neurostelle*
per il convivio d'amore
* le idee, splendenti come stelle (neologismo dell'autore)
*
Dentro, fuori
Io canto il cielo invisibile
che con intima voce
canta. Dentro,
ove s'annida l'implume
parola, è il mito della nascita.
Fuori, nella falsa luce,
si aliena l'infinito. Ma
rotonda è la visione
che lo s-guardo assapora
nel giardino soale
dove coi sogni vola
la rondine sonora.
Io canto la pura dimora,
la scena segreta che s'apre
allo spettacolo. Dentro,
dove crescono i frutti,
si rinnova il miracolo.
Fuori, nell'uso quotidiano,
marcisce la rosa. Ma
sempreverde è la notte
dal candido calice,
dove sbocciano le stelle
per incanto,
dove fiorisce l'albero
dal fertile respiro del vero.
*
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Dalì - Baccanale
Alfonso Gatto
Notte
Tremo d'esile vena per lontane
arie di suono, mi lusingo in volto.
Come alleviate toccano le vane
solitudini il cielo vuoto, ascolto.
Lungo sereno dileguano piane
voci apparenti nel mondo sepolto:
m'adeguano nel sonno di montane
bare odorose, ed il cuore n'è folto.
*
Erba e latte
Mansueta di campani la sera remota
alle finestre pallide di cielo
odora umido, e tace in gradini la casa vuota.
Svanisce, continuo tepore di gelo,
nella bottiglia verde il latte; nuvole chiare
lontanano nel fioco armonioso tacere
della campagna. Sembra compiuto nel limitare
della mia casa il sonno delle riviere.
Beato volto al sereno, quasi la notte m'apra
continuamente a sgorgare in fragranza.
Tepida e lieve, cauta, mi lambisce una capra:
odora d'erbe e di muschio la stanza.
*
Alba
Passerà l'alba in un sogno
al freddo freddo d'ogni casa
al solitario azzurro del mare.
È nudo il mondo un'altra volta.
Erompa il cuore con la mela rossa
contenta d'esser dura.
In una selva molle di nuvole e di nevi
pozz'acre di verde si rimescola il mare.
Lo spazio smemorato si ridesta
tra lontananze ventilato leggero.
*
Le cose
Un giorno busseranno ad ogni casa,
chi vive è già colpevole d'avere
la sua vita segreta. Scende il buio
della notte, si resta dietro ai vetri
ad aspettare come giunge il vasto
assurdo della quiete. È nelle cose
di sempre ferme al loro posto il nuovo
sguardo impietrito: l'angolo deserto
mette in salvo il fuggiasco o per lo scarto
gli affaccia la sua muta. Sembra un vano
delirio questo credere alle cose.
*
Carri d'autunno
Nello spazio lunare
pesa il silenzio dei morti.
Ai carri eternamente remoti
il cigolìo dei lumi
improvvisa perduti e beati
villaggi di sonno.
Come un tepore troveranno l'alba
gli zingari di neve,
come un tepore sotto l'ala i nidi.
Così lontano a trasparire il mondo
ricorda che fu d'erba, una pianura.
*
Vento sulla Giudecca
I venti, i venti spogliano le navi
e discendono al freddo
e sono morti.
Chi li spiegherà nel rigoglio
delle accese partenze
ove squilla più forte più forte il mare
e l'antenna sventola il mattino?
Tutta donna tutta forte tutto amore
ed è rossa la mela, giallo il pane
della Pasqua d'aprile…
Ed eri calda
ed eri il sole, mattone su mattone,
oltre quel muro la campagna il cielo.
*
Osteria flegrea
Come assidua di nulla al nulla assorta
la luce della polvere! La porta
al verde oscilla, l'improvvisa vampa
del soffio è breve.
Fissa il gufo
l'invidia della vita,
l'immemore che beve
nella pergola azzurra del suo tufo
ed al sereno della morte invita.
(Tutte le poesie, Mondadori, 2017)
Alfonso Gatto nasce a Salerno nel 1909.
Nel 1941 ottiene la cattedra di Letteratura Italiana al Liceo Artistico di Bologna. Alfonso Gatto si dedica inoltre alla pittura e alla critica; è anche attore cinematografico. Muore nel 1976 per le conseguenze di un incidente d'auto.
Fonte: https://poesiaurbana.altervista.org/alfonso-gatto-caffe-letterario/?fbclid=IwY2xjawHJMBtleHRuA2FlbQIxMQABHd_nffF7y2oUpH9dJouH_ZCrLn6nbRpFNhhEZJ3oX7ooV1TnRPyTWC7wrQ_aem_mExjbiU9bjlVte2lwac2Nw

Dalì - L'Ascensione di Cristo
Poesia di Teresio Zaninetti
6
La sera sboccia nelle vene dei lupi
là dove si schiude la ferita
che disegna ombre
( false )
sulla parete mentre fissiamo la ghiandola
di questo amore abbarbicato
alla radice del cancro ,
dunque tu strappi
i chiodi dal torace ed urla
senza voce la pazienza
trucidata nell ' armadio.
io so di favole nascoste sotto il letto
così nuove così vere e antiche
che neppure le cimici potrebbero intaccare…
Teresio Zaninetti ( Gozzano ( Novara ) , 1947 / 2007 ) –
.
da " La finestra si apre… " ( Con una critica di ROBERTO ROVERSI ) Ed. " Ligea " – Catania , 1993 –
.
Commento di Nadine su Assonanze (Wordpress)
Questa poesia di Teresio Zaninetti è un affresco viscerale, carico di immagini crude e potenti, dove il dolore e l'amore si intrecciano in una danza ineluttabile. La "sera" che sboccia nei lupi evoca un'atmosfera inquietante, quasi primordiale, mentre la "ferita" diventa simbolo di un dolore che si espande e distorce la realtà. L'amore, radicato nella malattia ("alla radice del cancro"), appare tanto vitale quanto devastante.
La contrapposizione tra l'urlo silenzioso della "pazienza trucidata" e le "favole nascoste" sotto il letto suggerisce un contrasto tra una realtà aspra e una speranza fragile, antica e intatta. Il lessico è aspro, ma intriso di un lirismo che scava nell'intimità delle emozioni umane, mostrando come persino il dolore più profondo possa generare bellezza. Una poesia che lascia un segno indelebile nella sua feroce dolcezza.
Irene Rapelli
DELICATEZZA
Silenzio è il trasparente
carcere di narcisi da potare.
Attendono solo
che una forbice incida
steli e radici ed il pistillo voli, perpetuamente,
nell'azzurrità rupestre
dove l'abisso si apre a cesure ebbre,
taciute o sfatte di essenza
più sensuale del seme vincolante,
in vene e suoni
di millenni. Sorride
del germoglio zittito l'aura informe,
nuda ed aspersa dell'ultima luce
prima del salto. L'assoluto parla, vivo e nullifico,
di eternità rubata
del tremulo sospiro nella bocca
di fiori della poesia. Ancora qui? Da me
odi delicatezza, un'agonia
che pulsa, implode ed esplode, trabocca, piccola morte
sul margine di ogni rupe, bianchezza, virgola lisa
di pagine elettriche del sole sfrondato
ch'emani. L'assoluto canta nero
duramente, di povera
immensità ridotta a buio
nel tuffo d'acqua.
https://irerapelli.blog/2025/03/13/delicatezza/
.
Giovanni Perri Agua
Vorrei veder tramontare ad oriente
sul breve canale delle canne addormentarmi
sopra una scia di spari cacciatori
fuggire gli alberi a ritroso
e la notte incendiaria sentire
l'annuncio dei cani arancioni
vorrei nascondermi nel fieno di maggio
nell'ampia volta del cielo che pende
sorridere per un ricordo
invertir l'ombra mia stessa
di lividi e dimenticanze
e d'anni che non ritrovo più.
Ma d'ore numinose è fatta
l'anima mia riflessa e d'archi e frecce,
portami il cuore nella luce a planare
sopra un acquaio di malinconie
saltami allegramente sulle sponde
della mia vena d'oro e scrivimi
col vento ogni ferita
degli occhi e della lingua
io ti sono nel canto padre e figlio
e fratello dei cocci lunari
allora fammi terra
fammi profumo di terra e di stalla
oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi
fin dove tocca l'erba la parola
e non v'è peso
né formula dei miei destini accumulati.
.
Giangiacomo Amoretti
Solo nella penombra
più rarefatta e interna,
di là dalle figure
stinte dell'iconòstasi,
fra due colonne, spento
anche l'ultimo cero,
vedrò io – senza un lume
che veli – per un attimo
sospeso e come assolto
dal tempo e dal morire –
l'icona più segreta –
l'invisibile Volto?
.
Settembre. Le ali porpora dei cirri
sfatti nell'alto, gli esodi infiammati
fra cielo e cielo dei rondoni, i voli
e i silenzi e gli spazi,
le albe, i non ritorni
per sempre –
ed i ricordi,
i ricordi che straziano.
.
Spleen
Malinconia dell'angelo che guarda e che non vede,
che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano
più di noi stessi – le sue ali bianche
più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.
Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –
in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.
La linea del confine sempre oltre.
Il mare uguale senza un orizzonte.
E quando si fa sera questo lungo discendere
come di un velo fumido sulle spiagge deserte.
Le acque immote, color blu cobalto.
Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.
.
Mattia Tarantino
21 luglio '18
C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Oppure da una lingua del Nord
sarà la sillaba che gonfia le ossa
dei morti? Fummo il fanciullo e fummo
l'acrobata: c'è sempre
una fune tra luce e precipizio.
Veniamo a bruciare
le vertebre al cielo, veniamo
a invertire la pioggia:
certi versi sgozzano
le aquile, altri
marciscono i vessilli dell'Impero.
Quest'acqua ci disperde, non conosce
i nomi cui ha rubato sangue
e sorte. A quest'acqua
noi torniamo in obbedienza, senza croci
che trattengano le stelle.
Da lontano una Medea
araba conduce la sardana:
chi rompe il cerchio lo rimette
ai margini del tempio.
Arrivano le schiere: impugnano
e rovesciano il gerundio;
arrivano le gazze
ma tu raccogli solo fiori estinti."
Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele
A Ginevra, che ne custodisce il segreto
.
La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Ma i versi non sanno
ingoiare le falene quando sempre
più nere e sempre
più feroci insorgono e devastano.
Non sanno quanti nomi
possiamo dare agli angeli, quante
voci setacciare fino all'ultima
vocale ancora intatta.
Non sanno quali giri
porta avanti la fortuna, quali sfere
interrogare perché i bimbi
non confondano il sangue con le rose.
Eppure conoscono
il mistero delle gazze quando legano
alle ali un cielo furibondo."
Lorenzo Curti
Impolverate
sfilano nella vertigine
del mattino
fatiscenti ritagli
di primavere inabissate.
Estraggo a sorte
ostinate memorie
gorgoglianti nella poltiglia
del sangue
Rabbercio
senza battere ciglio
tele di passioni sbrindellate.
Ne assorbo ancora
l' acidulo aroma
propizio come un amuleto.
Un cavo suono
percuote il cuore
che scava
nella terra dei sentimenti.
Che soppesa
la brezza che resta
di molti uragani.
*
Docile
declina verbi
di liquida poesia
la pioggia,
blanda annacqua
un fazzoletto di mondo,
lava lapidi e strade,
distilla feraci malinconie.
Sdrucciolano pensieri
sull' umido tappeto
del cielo,
frana ogni abbozzo
d' amori,
la luce si fa tetra.
Poi s' aprono nubi
millantano paradisi
e leggerezza.
Ma è specchietto d' allodola
la spada di sole
che crepa nembi;
torna a oscurarsi l' azzurro,
fugace dilegua.
Una goccia ferma
a precipizio d' un davanzale
mi racconta la vita.
*
Luci isolate
e coccole di buio
sulle meningi,
su occhi incerati.
Fosse d' amore
ogni sillaba mormorata
saremmo salvi
stanotte
Ma è solo
centellinare un distacco,
assorbire un dolore
a dosi omeopatiche.
Oppure
è rasentare la perfezione
del non accaduto,
trovarsi orfani d' un sogno.
Respirare l' assenza.
*
Un mare imbalsamato,
assenza di voci a presidiarlo,
a corto di corpi, qualche rara
sagoma trafitta da un pallido sole,
sgocciolare di vento che reca
soffi di rose tra barche alla fonda.
Tornerà l' estate
ad accendere mille luci
a ingigantire luna e desideri
forse peserà sul sangue
il troppo amore salvato
nella memoria, una foto
archiviata nell' anima
una parola sommessa
una preghiera,
il cielo perfetto di certe notti
lo stare a riva con gli occhi
lanciati lontano , le gambe
distese, le spalle nude
una sommessa nostalgia.
*
Al diapason
hanno vibrato le corde d'anima
arrendevoli al tocco dell'erba fresca
alla mano calda d'un sorriso inatteso.
Hanno forato il silenzio profondo
le tuniche d'aria malinconica
adescato subdole felicità
impresse a fuoco dentro
come un tatuaggio invisibile
sulla pelle della memoria.
Tendo ancora l'orecchio
sigillando i rumori di fondo
apro a raggiera il cuore
e sento infilarsi
tra l'aria e la mia ombra
-nel labirinto di giorni in fuga-
un rosario di fremiti che sgrano
un ribollire come di mosto nei tini
in questa vendemmia chiamata vita
secchi grappoli noi alfine
a spremere, inutili raspi
nudi come rami d'inverno.
(da Facebook)
*
Irene Rapelli
DELICATEZZA
Silenzio è il trasparente
carcere di narcisi da potare.
Attendono solo
che una forbice incida
steli e radici ed il pistillo voli, perpetuamente,
nell'azzurrità rupestre
dove l'abisso si apre a cesure ebbre,
taciute o sfatte di essenza
più sensuale del seme vincolante,
in vene e suoni
di millenni. Sorride
del germoglio zittito l'aura informe,
nuda ed aspersa dell'ultima luce
prima del salto. L'assoluto parla, vivo e nullifico,
di eternità rubata
del tremulo sospiro nella bocca
di fiori della poesia. Ancora qui? Da me
odi delicatezza, un'agonia
che pulsa, implode ed esplode, trabocca, piccola morte
sul margine di ogni rupe, bianchezza, virgola lisa
di pagine elettriche del sole sfrondato
ch'emani. L'assoluto canta nero
duramente, di povera
immensità ridotta a buio
nel tuffo d'acqua.
https://irerapelli.blog/2025/03/13/delicatezza/
.
Parola
Fiore cannibale del male
ansando sfonda l'arco del pensiero.
Bellezza provocante del banale
buco affollato allarga. L'infeconda
rupe sul precipizio gronda
per la stella del buio più nero
obesa eternità per nullità.
Scrive in cattività l'amplesso
del canto. Terra, luna, poesia
truffe o malattia. Schiavitù
di moda e marchio rovente
per eroi senza movente — va
un'uguaglianza più larvale
che danza senza figura né pane
nel silenzioso fumo
del rogo senza arrosto del rituale.
Così il vestito ritaglia
cervelli in libertà di vetro.
Ed io ci ballo, senza riposare,
il cuscino è una scacchiera cinica
con un gioco truccato
di saponi nel bagno del re nudo
crudele solo in vanità.
Sarò tenuta in vita, senza odiare
che la sua infinità, aprirà
gambe alle nozze per procura in clinica
di morte, e pace sarà. Sta
un'inesplosa bomba, nella tomba.
Così sprofonda vegetale.
I. Rapelli
*
"Così di noi non resta che il mistero
d'esser vissuti ignoti anche a noi stessi;
come vivono gli alberi confitti
dalle radici entro la terra; e tutto
è un vano giuoco di sequenze, uguale
a specchi d'acque tra le nubi e il sole."
Giuseppe Villaroel, Quasi vento d'aprile in La bellezza intravista. Antologia poetica 1914-1956, Firenze, Vallecchi, 1959, p.163.
Flavio Almerighi
Dio, dammi i remi giusti
per potere attraversare
tutto questo vino nero,
la giusta direzione
contro il sole spesso vago.
Evitami litigi con le stelle,
voglio gioire ogni momento
(scrivi ancora?).
Fa' che nudità e bellezza
non si divorino, escano
per onorare la luna piena.
Sfila l'aureola, voglio toccarla
niente spazio al freddo
e nessuna catacomba.
Nient'altro serve all'amore.
Bollettino ondeggiante
benedetto dalla luna piena
riflessa su questo mare,
vanitosa com'è, scende
senza parole.
Dio trovami tra mille rimandi,
uova che il sole schiude.
*
"Dio trovami", in "Isole"
Edizioni Ensemble, 2018
Lucia Triolo
non si appartiene veramente
che
alla paura di incontrare
se stessi
non ha speranza
l'ombra della rosa
non ha profumo
pettinare sogni
e' solo un lampo con radici
nel sangue
l'ombra della rosa
incenerisce
Nadine Swan
Anche Dio ha avuto fame
La fede in Dio è il passo
lento sulla brace —
Mi hai sciolto il sale negli occhi,
Mi hai bendato la pelle
come un corpo che ha attraversato il fuoco,
e adesso ha cicatrici che parlano.
Ora ti chiedo la tua sete,
fammi spazio nella fame —
tra la voce e il silenzio
dove preghi con i lamenti taciuti.
Così anch'io sarò carne
che si lascia consumare,
ostia non consacrata
ma ardente,
trafitta di tenerezza.
Inchinami alla tua bocca
non come chi implora,
ma come chi conosce
la grazia della ricostruzione.
E poi mangiami
in un nome che non serve più
pronunciare.
Non ti chiedo di amarmi,
ma di scavarmi con la lingua
come si fa col midollo:
lì dove resta dolce anche il sangue.
Sono il pane dimenticato sull'altare,
l'ombra della benedizione,
un grazie mai detto,
rabbia masticata fino a farla bestemmia.
Dammi la bocca,
non il bacio —
ma il morso che mi separa da me.
Nutriti,
che io mi svuoti a tua immagine:
devota, spoglia,
come un volo
interrotto.
Lasciami ferita,
ma in tuo segno —
come si lascia un graffio sulla costola,
per ricordarsi che anche Dio
una volta ha avuto fame.
(da Facebook)
Alfredo Bruni
ho incontrato un mio pensiero
nell'angolo più assurdo del mondo
stava seduto per terra
abbattuto
le spalle appoggiate
al muro caduto
sembrava un barbone
che era nato nobile
e troppo presto decaduto
sembrava un bambino
troppo presto cresciuto
sembrava una rosa
da cui era nata una spina
sembrava una morte
che non poteva avvenire
non chiedeva elemosina
continuava a gridare
squarciando il silenzio
frantumando lo spazio
abolendo il tempo
e lo strazio
ecco dov'eri ho pensato
esiliato
ma nemmeno dannato
se un giorno apro il libro
lo trovo
che balla sul foglio
come la stella
che segue la luna
e non può scaldare
il bastardo
sul volto ha messo
una maschera
di sangue e ricordi
il mio pensiero indecente
che sembrava perduto
Sibari 15 aprile 2013
*
Julie Sopetrán
Sin aliento
Hay algo entre las risas de la noche
que provoca tristeza
tedium vitae que socava y destruye
como una araña de melancolía.
Sinfonía de ecos como clavos
que hieren el espectro, los sentidos, la gana,
constelación de síntomas, ebullición de estrellas,
dolor, insomnio, mordedura de fiera entronizada,
silencio, ansiedad, fuego que agota, presión que vacía el ser
y esta amargura que sangra biografía
que tiene prisa de borrar el camino.
Bailo con las normas y siendo libre me ato a las sombras
me dejo caer siento el vértigo del malestar
me aferro a la imprudencia
de la nada
Soy pluma en el abismo, desintegro mi llanto
vuelo hacia el fondo
voy y vengo
quemo el aire.
©Julie Sopetrán
*
Senza fiato
.
C'è qualcosa nell'ilarità della notte
che provoca una tristezza,
un tedium vitae che mina e distrugge
come un ragno di malinconia.
Sinfonia di echi come chiodi
che feriscono lo spettro, i sensi, il desiderio,
costellazione di sintomi, ribollire di stelle,
dolore, insonnia, morso di una bestia in trono,
silenzio, ansia, fuoco che esaurisce, pressione che svuota l'essere
e questa amarezza che sanguina biografia
che ha fretta di cancellare il cammino.
Danzo con le regole e essendo libera mi lego alle ombre
mi lascio cadere sento la vertigine del disagio
mi aggrappo all'incoscienza
del nulla
sono una piuma nell'abisso, disintegra le mie lacrime
volo verso il fondo
vado e vengo
brucio l'aria.
.trad. Flavio Almerighi
.
… non è che un sunto
Fa in modo di farti trovare in piedi
come gli steli fioriti di un prato
non ancora calpestato o falciato:
tant'è primavera e aperto è alla brezza
lieve, da invitare alla danza d'ali.
È breve il frusciare che di essa inebria
per te che la morte non è che un sunto.
E se un raggio arcobaleno ti accende
sporgi sempre più il viso al sole caldo:
ne avrai bisogno in ogni tua cellula
quando alle membra sentirai gli spilli,
sentimenti ipocriti mai sopiti,
fondi infiggersi ghiacci nella pelle
come rimorsi fruttati d'inverno.
https://sempreadelantando.wordpress.com/2025/06/05/non-e-che-un-sunto/
Franco Massimo Botturi
SEA SONG
Per la potenza dell'acqua, la scultorea
madre magnanima che lava le mie angosce.
Ne berrò come la belva il sangue caldo
fino a impazzire la mente, e il corpo stanco
al quale hai dedicato le mani più pazienti
le vene della bocca, la danza dell'amore.
L'utero d'acqua salina è la mia casa
sparviero di pianura, fuori da storia e tempo;
ho le narici di sale, il petto glabro, Nausicaa
culla il mio divenire. Qui vivrò
nell'ossatura dei pesci, e l'alghe, e spume.
Tra le corriere dei fulmini e la nenia
l'andare e poi il venire del piede della rosa.
Tra la risacca e l'affondo, magma azzurro
e verde del coriaceo guerriero. Tra carcasse
gettate a riva nel saliscendi; il tempo vivo
e quello morto in zattere e corda. Tra i bambini
caduti come ceri pasquali da un altare
sul fondo delle braccia più povere del mondo
coperte di corallo e pietà, figlio anch'io
sempre.
(da Facebook)
Lorenzo Curti
Ancora
mi vengono incontro
memorie di notti lunari
propizie agli incanti;
ferite di luce nel cielo
come fosforo di lampi
oltrepassano stagioni e iridi,
scrivono parole che sai,
alfabeti segreti
sulla pergamena del sangue.
Mariangela Ruggiu
prima che fossi questo corpo
che sente pensa ama
ero nell'Essere infinito
indistinta e senza nome
ero perfezione senza limiti
conoscenza e amore
poi è stato corpo e me che sono
come un vaso di coccio
che ha mani pelle occhi cuore
vaso unico e diverso
scrigno di bellezza
seme di Amore e fame
che non ci basta mai
perché veniamo da un infinito
che sempre chiama
anche quando siamo persi
abbiamo mani che si cercano
corpo perso tra l'Io e il Noi
c'è un oltre che ci aspetta
quando andiamo oltre la morte
ma siamo ancora vivi
mr (da Facebook)
.
Edoardo Sanguineti
'(...)
Che cosa è l'uomo? dove sta la sua anima?
è il teorema di Pitagora, la chitarra, il giornale:
vedi la vanga, le tenaglie, la biro,
che fanno il mondo che ti è naturale:
sciogli il tuo braccio, che hai tanto sudato,
e lungo è il tempo che ti hanno sfruttato:
quando un automa ci avrà faticato,
può incominciarci anche l'uomo umanato'
'Senzatitolo ' Feltrinelli, 1992
Pier Paolo Pasolini
Per essere poeti, bisogna avere molto tempo:
ore e ore di solitudine sono il solo modo
perché si formi qualcosa,
che è forza, abbandono,
vizio, libertà, per dare stile al caos.
Io tempo ormai ne ho poco:
per colpa della morte
che viene avanti, al tramonto della gioventù.
Ma per colpa anche di questo nostro mondo
umano,
che ai poveri toglie il pane,
ai poeti la pace.
Emilio Capaccio
Dio non nasconde
le ragioni incomprensibili
Sono inspiegabili ma esistono
lo sappiamo
Sono inspiegabili quanto basti
per poterle accogliere con la fede
e non nella pazzia
La fede è lo scongiuro della pazzia
Nessuno può dirsi pazzo
se ha in mente nel viaggio
la salvezza
È una ragione incomprensibile
dover morire per avvicinarsi
ma la fede è una barca
la pazzia il mare nella barca
che urla l'insostenibile prigione
(da Fb)
Lorenzo Curti
Dove si posa
in volo la luce
è timido riflesso d' acque
tumida malinconia
Distesa equorea
fragile ai venti
fomenta il senso del limite
Noi termini di paragone
malmessi vascelli
non si sa se in mare aperto
o vicini a qualche oscuro porto.
Noi piante secche e virgulti
rose marcescibili
che abbiamo amato
al loro sbocciare.
Dove si quieta il pensiero
l' abisso di ciò che sfugge
alle nostre mani prensili
incapace di trattenere
l' essenza dei fiori
fiotti di dolcezza.
Appena in grado noi
di imparare a morire
disimparando a vivere.
(da Fb)
MARIO LUZI
DURISSIMO SILENZIO
TRA NOI UOMINI E IL CIELO
Durissimo silenzio
tra noi uomini e il cielo,
arido
per aridità di mente
o scomparsa degli angeli
rientrati nel Verbo, muti,
alla sorgente,
afasia, anche,
o morte dei profeti,
ma colmato
da nuvole, da pietre,
da alberi, animali,
da quel loro
ininterrotto afflato,
tutto, creaturalmente.
O anima del mondo,
da tutto ferita,
da tutto risarcita,
non piangere, non piangere mai
dice nel sonno
la sua amorosa lungimiranza.
da " VIAGGIO TERRESTRE E CELESTE DI SIMONE MARTINI " ed.GARZANTI
Pedro Salinas
Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
vai sfiorando il mondo, strappi aurore, colori, allegrie:
la tua musica è questa
e la vita sta nel tuo suono.
Sì, io ti sto cercando al di là della gente.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la descrivono.
Al di là, più in là, più oltre... ti vado cercando..
E ti cerco anche al di là di te stessa.
Non in questo tuo specchio
e nella scrittura di te,
e nemmeno nella tua anima.
Più in là ancora, più oltre...
Anche al di là di me stesso.ti sto cercando.
Poiché tu non sei ciò che io sento di te.
Non sei ciò che palpita
con il mio sangue dentro le vene,
e non sei nemmeno in ogni mia piccola parte.
Ti vado cercando al di là, più oltre, ancora.
E ti cerco per trovarti,
per cessare alla fine di vivere in te,
e in me - e negli altri.
Per vivere al di là da tutto,
sulla sponda altra di ogni nostra cosa,
e finalmente raggiungerti,
come se stessi attraversando
la mia stessa morte.
da "La voce a te dovuta"
Umberto Saba
Il profumo del ricordo
Questa via stretta, antica,
tra i muri caldi e l'ombra lieve,
mi riporta a un tempo remoto,
quando la mia anima bambina
scopriva il mondo tra la polvere e il vento.
Odor di pane, di terra bagnata,
di vite intrecciate nella piazza,
il canto dei panni stesi,
il riso che si perdeva tra i tetti.
Era un tempo povero,
eppure così ricco d'immenso.
La mia città era madre severa,
ma nei suoi abbracci di pietra e mare,
tra il sale che ardeva sulle labbra,
io trovavo un calore antico,
un rifugio dall'infinito mondo.
Ora cammino tra le ombre di ieri,
e il ricordo mi accompagna dolce,
come una carezza sul viso stanco.
Non ho più il cuore d'un ragazzo,
ma questa memoria mi fa eterno.
.
MARIO LUZI
Sangue – sua profusione
in ogni dove
del mondo,
capillarmente
in tutto l'universo,
sua stormente
ramificazione
in ogni specie
dell'aria, della terra,
degli acquitrini
dentro vene,
arterie, cannule,
tubicini –
suo spreco,
sua dissipazione antica
nelle stragi palesi e clandestine,
nelle cacce, nelle ecatombi,
nelle mattanze, nelle carneficine,
nelle croci – una alzata ad espiarne
lo sperpero, lo scempio…
Dove corre il sangue, dove annega?
come l'acqua, come i fiumi
ritorna alla sorgente
il sangue, scende e sale
dalla morte alla resurrezione
O sanguis meus…
da " POESIE ULTIME E RITROVATE "
ed. GARZANTI
Giovanni Perri Agua
Forse il colore viene via soffiando
e resta un codice occulto:
così la statua nella canicola
così il silenzio nella campagna di luglio, bum! lo sparo di un fucile,
passare dove non sei e quasi sfiorare
il calco di un'assenza
questo sovramondo del nostro vedere.
La vita è tutta una somma
di questo non sapere in quale fotogramma finire
con quale danza esplodere, farsi molecola, azzurro che il sole dolcemente decapita.
Ma la magia è tutto il transuente,
il vento che anticipa l'alba
ripetere il bacio sulla nuca
senza voce cantare.
Sapete:
vedervi crescere così in fretta
è come la caduta dei gravi
ma leggera
come l'aria sulla stuoia del pomeriggio
che tiene in equilibrio la casa.
Irene Rapelli
PAROLA
Fiore carnivoro del male
ansando sfonda l'arco del silenzio.
Bellezza provocante del banale
buco affollato allarga. L'infeconda
rupe sul precipizio gronda
per la stella del buio più nero
obesa eternità per nullità.
Scrive in cattività l'amplesso
del canto. Terra, luna, poesia
truffe o malattia. Schiavitù
di moda e marchio rovente
per eroi senza movente — va
un'uguaglianza più larvale
che danza senza figura né pane
nel silenzioso fumo
del rogo senza arrosto del rituale.
Così il vestito ritaglia
cervelli in libertà di vetro.
Ed io ci ballo, senza riposare,
il cuscino è una scacchiera cinica
con un gioco truccato
di saponi nel bagno del re nudo
crudele solo in vanità.
Sarò tenuta in vita, senza odiare
che la sua infinità, aprirà
gambe alle nozze per procura in clinica
di morte, e pace sarà. Sta
un'inesplosa bomba, nella tomba.
Così sprofonda vegetale.
https://irerapelli.blog/2025/03/19/parola/
Francesco Marotta
(...)
scrivere è un'ora covata dal destino
la spina che costringe il corpo in reticoli d'albe in piena notte
e punge fruga ricuce orli slabbrati lacera la carne
fino a che sanguinano anche i sogni,
fino a che l'immagine fiorisce in echi di sorgente
gli alfabeti rappresi dentro un grido
(sono queste le voci che mancano a una pietra
per sentirsi un arco lanciato verso il cielo,
sono questi gli accenti
che scortano il seme alla sua tomba di luce – al precipizio ardente
dove la morte è presagio di stagioni,
oracolo dei frutti e del ricordo)
*
da Esilio di voce
scrivi strappando chiarori di pronome
dalla voce la luce malata
che s'innerva
al rantolo di un verbo scrivi
con lo stilo di ruggine che inchioda
l'ala nel migrare anche la morte
che sul foglio appare dal margine
di sillabe di neve s'arrende alla caccia
al sacrificio necessario
dell'ultima lettera superstite
*
ci accomuna la conta differita dei morti
la mano adusa a separare codici e correnti
dal gorgo dove si adunano le ore
indicibile chiusa
di apocrifi in sembianti di volti
di giorni in forme declinanti
di parole
*
come questa luce di specchio
quando raccoglierla è già spreco
di fulgidi rosa un chiedere al sonno
gli spazi
intagli per minimi azzurri
l'abuso di crescere che sia privo del prima
mutilata la mano da una lama
d'inchiostro
che trema sul foglio.
La radice del cielo
nella vampa del crepuscolo, Gabriele,
anche gli angeli cambiano colore – assumono
sembianti carichi di voci, parvenze di infinito –
talvolta somigliano una nuvola, profumano di corallo,
e tu sai che più pura è la loro luce
che avvolge la tavola imbandita di invisibili presenze
fluttuanti nell'oro degli sguardi, più pura
quando lacrima il sale della vita la materia del distacco,
quando l'ombra ti lascia senza pace
inquieto di un tremore opaco, preda del vento
che succhia linfa alla fonte dei pensieri –
cosa sono le nuvole mi hai chiesto – e io ho raccolto nel palmo
la pioggia dispersa dell'aprile, la sua ferita d'aria
per mostrarti come si forma un'ala,
da quale precipizio risale il giorno e spinge a riva
gli ospiti muti delle notti,
come può una corona di piume legare alla terra
esili germogli fioriti da suoi pori –
cosa sono le nuvole –
e io ti porgevo il calice delle mie mani d'acqua
perché al richiamo di quell'ultimo bagliore di sorgente
tu riprendessi la rotta del tuo volo,
ritrovassi la radice da cui ricomincia il cielo
da Lettera al figlio
in Hairesis –
https://rebstein.wordpress.com/.../francesco-marotta...
Italo Bonassi (1932 – 2025)
Come ti riconoscerò lassù?
Come ti riconoscerò lassù?
Curiosamente sfoglio tra le pagine,
cerco la verità, ma non è facile,
sai. Metti nel conto
l'ansia, l'irrequietezza ed il dilemma
dolceagro del credere o non credere…
Come ti riconoscerò quel giorno,
metti che ci sia?
Oh, con stupore,
penso, ti cercherò tra le altre anime
nel vento freddo delle nebulose
di un paradiso insospettato,
tra vampate di colori e di riverberi
di musiche, riflessi e luminarie
di una città fantastica!
Ma io
come ti riconoscerò tra tanti?
Appena appena ho in me
una pallida idea del tuo profilo. Serbo
con gran fatica la tua immagine, lo sai,
ma ho ben poco di te. Indugio
a volte nel pensarti vivo,
giovane com'eri.
Ma non credere,
è illogico ch'io ti possa riconoscere,
lassù! Frammenti di memorie
non bastano, e l'anima tua nuda
eternamente andrà come un fantasma
anonimo.
Arena di silenzio,
giungla di desideri tramutati
in bioccoli di echi! Una sottile
pioggia di luce smeraldina
trascolorante in morbidi ricami
sarà alba perpetua per noi morti.
Come riconoscerti?
Chiamarti,
dire forte il tuo nome ed il cognome,
gridarlo mille e mille volte,
e mille altre?
Urlare
la via e la città dove abitavi,
infrangere il silenzio delle stelle,
e poi udirti
da quel mare di anime assopite
rispondere ai miei urli?
Vedi, fratello mio
( dici, parlandomi
quasi con nostalgia ), è negli abissi
di questa dolce eternità di morte
che vive il mio pensiero come un'eco
spenta di voce.
Illusione di un sogno di fanciullo,
l'idea in un paradiso interstellare,
frutto di un desiderio!
Anime no,
né angeli né spiriti,
siamo pensieri nella mente eterna
di Dio. Pensieri
sì, solo pensieri, eterni.
Giangiacomo Amoretti
Opaca luce, amaro
trasalimento all'alba
d'altre nubi, riflesso
d'altri cieli – nell'alto
ventare un nulla di
nero-bianco, una rondine
tutta ali – poi lieve
ricadendo più giù
la sua torbida, fuggitiva anima.
Bastava che cantasse
Faceva presto
il canto a essermi sorriso.
Indosso la camicia blu a righe
—parevano cantare finanche quelle—
e da cornice, in prospicienza,
certi fatali pini
—filosofia di odori forti—
ed un agosto di luci appese ai colli.
Sì che cantavi, padre!
Ma gli occhi erano lucidi,
lucidi di malinconia i tuoi occhi.
E io lì a chiedermi:
"Si è forse più inclini al canto, a sera?"
Ora altissimi i silenzi.
Memoria estatica,
fragile a un tempo,
infranta dal battacchio della mente:
prima rintocchi indizi e decibel acuti,
dopo nel nulla ti disperdi.
Sei suono di campana.
NUNZIA BINETTI
Pierluigi Bacchini
Vieni a sopportare ancora questa vita.
È vita, abbiamo da fare, vieni. Fingi,
con una lieve esaltazione. Non senti
come scorre il suo respiro?
C'è ancora tempo, qualche piacere.
E parlare di ciò che vale oltre noi,
questo nostro scoprire, la curiosità.
E non abbandonare questi lineamenti,
il tuo volto, che ancora appartiene a noi,
o pare. Tutto è concreto, e sogno assieme, è
non so, memoria. Abbi forza, ritroviamoci.
da Staminali eterne, Mondadori
Donatella Pezzino
Monade
Attese. Assonanze.
Piccoli profumi da rendere al vento;
è un gocciarmi lieve, di foglia
in foglia
il mio essere pioggia.
Di un solo giorno
Di un solo giorno
Venivamo dalla marina,
zingari come strade. Tutto
era un dopo; le ore,
una teoria
di scale
– i ceri accesi
delle cattedrali. E infine
la notte
liquida, erbosa; una terra
di mezzo
nel torpore antico
dove le nostre tristezze
diventano cose.
Potresti
Potresti attutire il rumore che faccio
cadendo; con le mani invece
rabbocchi quello che non manca
e mi peschi a caso
dal sacco delle foglie. Ho voglia
di liquirizia: ma non ricordo più la strada
che porta alle tue tasche. Sotto la lampadina
a risparmio
si diventa letargici, ragionando d'uva buona
e del mare sotto i treni e delle lenti da lettura
che ti sperdi per casa. Fuori l' autunno
ostenta certi fiori piccoli
che quando li calpesti fanno un silenzio
odoroso e impotente; ma tanto, mi dici,
verrà la pioggia a lavare via
la terra nera dal mandorlo
Basalto
Noi siamo
il silenzio che ci unisce:
una ginestra
e il suo abbraccio di cenere.
Non ha importanza
Silenzio. Silenzio
dov'era musica, silenzio sulle mani,
sul gorgo imploso dove finisce
la pioggia dei giorni, coi detriti che non dicono,
con tutti i fiori che non si aprono.
A metà
Ho amato
come si amano gli angeli: a metà. Un'ala spezzata
ha fatto da cornice. Forse avevo paura
di rimarginarmi presto – ed era terrore, il mio –
o forse temevo il logorio dei passi
su quel lungo tappeto disteso
fra la follia e l'abbandono.
Angel
Che il tuo volo mi sia lieve
nel ricordarti carezza,
che mi sia lieve il giorno, dove tutto
è stanchezza; ora
che sai di foglie.
Vedessi com'è bianco il giorno
Non uscire: così bianca
ti confonderesti con la neve
e ti perderei. Non dormire: fra le tende
accostate
lasciamo tremare la luce, un poco. Hai
l'ultima sigaretta: fumala. Questa volta
entrerai nel cono d'ombra
a piccoli passi
Lentamente
Sola. Sono la piccola solitudine dei fiori
quando non trovano il vento alla giusta latitudine
da potersi dire carezza, olfatto, tintinnio di bicchieri; sono
la pioggia che guarda gli uccelli sotto la gronda
senza potersi fermare. Da questo cielo
continuano a passare
voli
mentre io continuo a cercarti a ritroso
seguendo il calco delle mie ferite.
Samovar
Mi spezzo
proprio ora che il vento si ferma:
ed è una morte
gentile, dove trapassano
i sogni, le rose, e le cose
perdute
che vedo solo io; e dove
amore
è un modo come un altro
per chiamare la solitudine
Binario 5
Si aspetta; sempre. E nell'aspettare
si diventa foto in bianco e nero
per ricordare cose: il paltò
senza tasche, l'orologio
indietro. Si resta così,
modelli in carta
di profumi dimenticati
C'è una fiamma
Distanze. La diafana
certezza dell'ora, che passa
nel sentirsi
tremare, in una foglia
per cadere, infine; restituirsi
alla terra; e cos'è
ogni sera, in fondo
se non un ritorno
Lo spazio fra due punti
Ecco il fiore dalle foglie scarne,
la farfalla dimenticata sugli spilli.
Figlia di Imran, di quante croci è fatta
la sabbia che calpesti?
Il respiro è pianta che germoglia sulla pietra.
La tua mano, un velo sottile che si posa sulle cose.
Le gerbere
Non ti ho comprato le gerbere.
"Abbiamo colori bellissimi,
oggi" diceva la signora dei fiori.
Colori. Bellissimi.
C'era un azzurro
che tremava nelle ossa: inverno
e rimpianto. Giallo il polline
che il vento portava lontano
tra gli aranceti e il mare; dove la vita
ti urla negli occhi. E sotto
l'erba,
petali ancora freschi
che nessuno ricorda: il viola
delle cose non colte.
su larecherche.it
g. amoretti
Luce che all'alba defluisce e schiara
le plaghe mute dell'inizio – luce
più alta, che si stinge e si ritira.
Nadir e zenit, nord e sud – il male
da sempre già in questa incoincidenza,
in questo non ancora e già non più,
che è il cuore nero – il centro della luce.
Vittorio Sereni
PAURA SECONDA
Niente ha di spavento
la voce che chiama me
proprio me
dalla strada sotto casa
in un'ora di notte:
è un breve risveglio di vento,
una pioggia fuggiasca.
Nel dire il mio nome non enumera
i miei torti, non mi rinfaccia il passato.
Con dolcezza (Vittorio,
Vittorio) mi disarma, arma
contro me stesso me.
*
ALTRO COMPLEANNO
A fine luglio quando
da sotto le pergole di un bar di San Siro
tra cancellate e fornici si intravede
un qualche spicchio dello stadio assolato
quando trasecola il gran catino vuoto
a specchio del tempo sperperato e pare
che proprio lì venga a morire un anno
e non si sa che altro un altro anno prepari
passiamola questa soglia una volta di più
sol che regga a quei marosi di città il tuo cuore
e un'ardesia propaghi il colore dell'estate.
da "Stella variabile"
Octavio Paz
Come chi ascolta piovere
Ascoltami come chi ascolta piovere,
né attenta né distratta,
passi lievi, pioviggine,
acqua che è aria, aria che è tempo,
il giorno non finisce di andarsene,
la notte non arriva ancora,
figure della nebbia
al voltare l'angolo,
figure del tempo
nell'ansa di questa pausa,
ascoltami come chi ascolta piovere,
senza ascoltarmi, ascoltando ciò che dico
con gli occhi aperti verso dentro,
addormentata con i cinque sensi svegli,
piove, passi lievi, rumore di sillabe,
aria e acqua, parole che non pesano:
ciò che fummo e siamo,
i giorni e gli anni, questo istante,
tempo senza peso, pesantezza enorme,
ascoltami come chi ascolta piovere,
lampeggia l'asfalto umido,
il vapore si alza e cammina,
la notte si apre e mi guarda,
sei tu e il tuo sembiante di vapore,
tu e il tuo volto di notte,
tu e i tuoi capelli, lento lampo,
attraversi la strada ed entri nella mia fronte,
passi d'acqua sopra le mie palpebre,
ascoltami come chi ascolta piovere,
l'asfalto lampeggia, tu attraversi la strada,
è la nebbia errante nella notte,
è la notte addormentata nel tuo letto,
è l'ondeggiare del tuo respiro,
le tue dita d'acqua bagnano la mia fronte,
le tue dita di fiamma bruciano i miei occhi,
le tue dita d'aria aprono le palpebre del tempo,
sgorgare di apparizioni e resurrezioni,
ascoltami come chi ascolta piovere,
passano gli anni, ritornano gli istanti,
senti i tuoi passi nella stanza vicina?
non qui né là: li senti
in un altro tempo che è proprio ora,
ascolta i passi del tempo
inventore di spazi senza peso né luogo,
ascolta la pioggia scorrere per la terrazza,
la notte è ormai più notte fra gli alberi,
fra le foglie si è annidato il fulmine,
vago giardino alla deriva
– entra, la tua ombra copre questa pagina.
***
(Traduzione di Ernesto Franco)
da "Albero interiore (1976-1987)", in "Octavio Paz, Il fuoco di ogni giorno", Garzanti, 1992
Fernando Pessoa - Questa vecchia angoscia
Questa vecchia angoscia,
questa angoscia che porto da secoli dentro di me,
è traboccata dal vaso,
in lacrime, in grandi immaginazioni
in sogni tipo incubi senza terrore
in grandi emozioni improvvise, senza alcun senso.
È traboccata.
Quasi non so come comportarmi nella vita
con questo malessere che mi riempie l'anima di pieghe!
Se almeno impazzissi per davvero!
Ma no: è questo essere a mezza strada,
questo quasi,
questo essere sul punto di…
Il ricoverato di un manicomio almeno è qualcuno.
Io sono il ricoverato di un manicomio senza manicomio.
Sono pazzo a freddo,
sono lucido e matto,
sono estraneo a tutto e uguale a tutti:
sto dormendo sveglio con sogni che sono pazzia
perché non sono sogni.
Sono in questo stato…
Povera vecchia casa della mia infanzia perduta!
Chi avrebbe detto che mi sarei tanto disperso!
Che ne è del tuo bambino? È impazzito.
Che ne è di colui che dormiva tranquillo sotto il tuo tetto provinciale?
È impazzito.
Ma chi, fra quelli che fui? È impazzito. Oggi costui è chi io sono.
Se almeno possedessi una religione!
Per esempio, una per quel feticcio
che c'era in casa nostra, la vecchia casa, che veniva dall'Africa.
Era bruttissimo, era grottesco,
ma c'era in lui la divinità di tutto quello in cui si crede.
— Giove, Geova, l'Umanità —
uno qualunque servirebbe,
infatti che cosa è tutto se non quello che pensiamo di tutto?
Scoppia, cuore di vetro dipinto!
.
Fernando Pessoa,
Poesie di Álvaro de Campos,
a cura di Maria José de Lancastre,
traduzione di Antonio Tabucchi,
Biblioteca Adelphi, 1993, 5ª ediz.
Flavio Almerighi
Pioverà neve e ci daremo del tu.
Nessuna anima sarà in disparte,
perché amore è questo.
Nei sotterranei troveremo aria fresca
greve di umidità.
Spesso la domanda è una sola:
chissà dov'è adesso,
mistero senza soluzione, vivere è questo
ascoltare chi è svanito,
la sua voce dentro i sogni.
La pianura è insondabile, non ha orizzonte,
le prime alture danno la sensazione
di lontananze che diventano confini.
Fortunati noi, non abbiamo subito guerre,
ma abbiamo creduto fosse progresso
esaudire desideri,
annegare la stanchezza in un caffè,
infine portare sulle spalle Anchise
per preservarlo dal fuoco.
https://almerighi.wordpress.com/2025/08/21/chissa-dove-adesso/?fbclid=IwY2xjawMa985leHRuA2FlbQIxMQABHvSbDw4nvnyVzyc0XPu_4IPzSucm968mAR8B72ZD_eJBoKlDWHH9qSXgpPc7_aem_Yquq9gtYIXND6bWrhWnM-w
Enrico Cerquiglini
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950)
L'uomo che respirava le colline
E Cesare perduto nella pioggia
sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina
(Francesco De Gregori, Alice, 1973)
Aveva il passo doppio di chi non torna mai,
anche se il ritorno lo fa ogni giorno.
A Torino respirava il fumo e le nebbie,
ma negli occhi portava vigne di settembre
e mattini freschi, col fieno ancora umido.
In campagna si sentiva cittadino
– scarpe troppo strette, mani senza calli –
in città, un contadino sperduto
tra i muri che nascondono le stelle.
Gli amori,
un tavolo vuoto
dove la donna siede
solo per andarsene.
Nei suoi letti restavano voci,
e il freddo di chi non ha voluto restare.
Non c'è niente di più amaro
che un'alba vista da soli,
scrisse,
ed era già un epitaffio.
Il mito lo teneva vivo:
uomini che parlano agli dèi,
donne nate dal mare,
ragazzi che sfidano il padre
e perdono sempre.
Il mito come giustificazione
del sangue e dell'abbandono.
La guerra l'aveva vista troppo da vicino:
le colline piene di passi che non tornavano,
il fango che inghiottiva i nomi,
il cadavere del nemico da guardare negli occhi.
E dirsi:
«Non sono io che cerco di non finire.
Io non credo che possa finire.
Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile,
so che tutti, se un giorno finisse,
dovrebbero chiedersi:
"E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?"
Io non saprei cosa rispondere.
Forse lo sanno unicamente i morti,
e soltanto per loro la guerra è finita davvero.»
Scrivere era il suo modo di restare in piedi.
Ogni parola un sorso d'acqua
in mezzo a un deserto che cresceva.
E alla fine,
nell'albergo anonimo,
la solitudine non era più una stanza
ma un coltello nel fiato.
Ha scelto di fermarsi lì,
lasciando frasi come vestiti piegati,
pronti per un viaggio
che non avrebbe fatto.
Sulla collina il vento canta piano,
parla di un uomo che nessuno chiama.
(da Facebook)
Cesare Pavese
La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un'ombra fuggevole, come di nube.
L'ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba
che s'imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l'impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.
Cesare Pavese
Mattino [9-18 agosto 1940]
da "Le poesie aggiunte", in "Lavorare stanca",
Einaudi, Torino, 1998
Fabrizio De André
Il mio bambino
il mio
labbra grasse al sole
di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al mondo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.
Sidone, in genovese Sidun, è la città del Libano che nel 1982 fu devastata dall'offensiva delle truppe di Ariel Sharon.
Cesare Pavese (1908 –1950)
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d'acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all'urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s'odiano piú
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose –
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei piú. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
19-20 novembre 1945
Non sarà necessario lasciare il letto.
Solo l'alba entrerà nella stanza vuota.
Basterà la finestra a vestire ogni cosa
di un chiarore tranquillo, quasi una luce.
Poserà un'ombra scarna sul volto supino.
I ricordi saranno dei grumi d'ombra
appiattati così come vecchia brace
nel camino. Il ricordo sarà la vampa
che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
Cesare Pavese (9 settembre 1908 - 27 agosto 1950)